REALTA’, METAFORA, ALLUSIONE:
indissociabili costanti
nella “poesia civile”
di
Roberto Vittorio Di Pietro
I.
Sempre letterato. Piovono le bombe e tu
pensi già a farne un racconto.
(Cesare Pavese, Taccuino segreto)
N O I
(11 settembre 2001)
Guerra! E che torvi
barbagli là in alto!
Noi:
svagolate lucerne
saggiando movenze,
nitori sommersi,
le fogge mutanti
dell’acqua.
Per noi che ammalia
la rena nell’ostrica,
morte seconda sarà
la fine del ghiozzo?...
Poeta! O rapito
dal rosso? dal verde?
dal bianco?
dal grande policromo
arcano
di un barattolo.
O della seppia?...
Chissà: come lei
quando, invaghita, in
amore si giace
su frasche d’alloro,
dimentica
dell’esca mortale
dell’uomo
là giù
nella nassa.
(dalla silloge “A testa in
giù”, 2002)
II.
Io nacqui
a debellar tre mali estremi:
tirannide,
sofismi, ipocrisia.
(Tommaso
Campanella)
Il genere
umano non odia mai tanto chi fa il male,
né il male
stesso, quanto chi lo nomina.
(Giacomo
Leopardi)
(…) non
far tregua coi vili: il santo vero
non mai
tradir…
(Alessandro
Manzoni)
Qui la
Vita e la Morte si dan mano
come
sorelle:
tutto ciò
che è
è un poco
ciò che fu, un poco
ciò che
sarà.
(Camillo
Sbarbaro)
E P I T A F F I O
[ In memoria
di qualche ignoto milite
sepolto fra le nevi
ad alta quota. ]
Scrisse qualcuno (“Oh?…E
chi?” – “Non so: a te importa?
scoprire il nome oscuro
di un caduto,
che il sangue aveva
inciso?...E un vento nobile,
con grazia, nottetempo,
espunse da una stele fra
le croci
rimaste sulle alture
senza un fiore”):
Viandante che ora sosti, che qui
mediti,
di tener testa
ai vili non temere!
Certo son
tali, enormi e sorprendenti,
le risorse
degli animi piccini
da lasciarti
ogni volta più stupito
di quanto
grande sia la tua pochezza.
Ma non
odiarli, quelli che combatti.
Chissà,
t’uccideranno? Ombra irredenta,
quale son io,
tu pure vagheresti
se, in quel
delitto, non li giudicassi
folli
soltanto: ansiosi di mostrarsi
giusti nemici,
e forti. Più ingegnosi
d’ogni
inaudito sogno di chi speri
renderli, da
vigliacco, troppo umani.
(dalla silloge “A testa in
giù”, 2002)
III.
Il mare le sue blandizie
accidiose…
(Giuseppe Ungaretti)
Gli si accostò, versò olio
e vino sulle sue ferite (…)
Va’ e anche tu fa’ lo
stesso.
(Luca, 10)
ONDA, CHE NON DOMANDI
Onda che scorri, vedi, e
non domandi…
ah per due o tre
passioni debellate,
felici di mimare i tuoi
silenzi!
Pago di quelle – onde da
un’onda, figlie
che nascono dal nulla e
non si chiedono
se il mare è padre o
madre, e se lo viva
con gioia o dolore un
parto in ogni istante --
oltre ogni ragionare,
qual che sia,
fonte di pena o gaudio dello spirito,
senza interrogativi d’ogni fatta,
spuma nella tua spuma io
scivolassi!
Onda che vedi, passi, e
non t’affliggi!…
Potessi mai donarmi
assoluzioni
speculative, tu:
riconciliarmi
senza un confiteor,
senza un catechismo
che a sé il pensiero
infeudi per straziarlo
di sentimenti. Oh, tu?...che d’una barca
colma di insidie, falle,
non t’angosci?...
dei tuffi dei miei
cari?...Eppure annegano!
Forse che del più amaro
dei naufràgi
non senti il tonfo?...E
scorri, non t’arresta
né ti commuove il grido:
“O Dio, s’affonda!”
Troppo beata, sei. Va’, non tentarmi,
onda che non t’adiri,
non incolpi
il timoniere, l’albero
maestro,
l’incuria delittuosa del
nostromo,
gli oltraggi d’una
ciurma ammutinata…
Spèrditi! Muori! E cheto
non si chiuda
con te
malgrado me
il mio episodio.
(dalla silloge “Come versi,
mùrici” – 2006)
IV.
Ex pede,
Herculem
(Pitagora:
come citato
da Aulo
Gellio ne “Le notti attiche”)
A PIEDI NUDI
DIVERSAMENTE UMANI
Di noi – noi voluttà di
scalze dita
disomogenee, variamente
arcuate,
dissimilmente prensili
nel correre
sul fitto brulichio di
questa spiaggia –
c’è forse chi esperisca
in pari modo
(soffra, e ne goda o
pianga…
ne rida, o maledica…)
+ il levigato?
+ il serico?
++ il puntuto?
il ruvido d’un sasso?...
il traballante +
d’un ciottolo
smussato?...
+ il viluppante
tentacolare
+
+
glutinoso
labile ++++
d’un folto intrico
d’alghe?
*
++ O il sussultorio
d’un repentino
inciampo…+ intorno all’ispido
d’un riccio ormai
sventrato! Osceno quanto
il molle tremulo ++
d’una medusa
in preda alla risacca+ e
sulla bàttima…
il semovente + d’una chela mozza
rivoltolante ++
appresso a un granchio
vivo…
++ ritto!
mordace!!
ancora combattivo
pur se vistosamente
mutilato.
Un balzo laterale! ++ e
nel calcagno
già subito l’acuto +
il lacerante +++
d’un amo derelitto, alla
deriva.
Questo l’approdo? Forse
più sicuro
un volo estremo
incontro al gelo esangue +
d’un cefalo morente
sull’argentea
china di ghiaia e
pietrisco + che nasconde
l’ustorio d’una tràcina nel subdolo
complice calor bianco +++
della sabbia.
(agosto 2013)
V.
Trahit sua quemque voluptas.
(Virgilio)
Tua res agitur, paries cum proximus ardet.
(Orazio)
Liberi non sarem se non
siam uni.
(Alessandro Manzoni)
F R A T T U R E
(per strade cittadine, e monti, e
valli:
in ogni dove
come in discoteca)
Depressi, noi – e
che!
Credibili languori?...
Cocci di vita
agglutinati, e insieme
cozzanti tra sussulti
furibondi
e travolgenti amori
psichedelici:
friabili come argilla
agli scossoni
di rapinose danze
visionarie
su piste sempre nuove
che s’affollano
a suon di strilli e musiche
malnate,
nel battere dei tempi
troppo deboli,
nei ritmi del levare
solo forti.
Speranze, noi - e che!
Sanabili fratture?
Grida o singhiozzi,
abbagli stroboscopici
le nostre malsicure
intermittenze
nel sincopare aff…etti…
e so…gni…
e re…li…
…gioni.
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