COMMENTI CRITICI da inserirsi in fondo alla silloge “Il vero, il bello…l’anello che non tiene”
DI LUI SI E’
SCRITTO…
Ragione, realtà, sogno: il Di
Pietro poeta li padroneggia con drammatica, eppure sorvegliatissima tensione.
La singolare riuscita della sua poesia va individuata soprattutto in una
capacità di trasformare il materiale contingente in mito moderno, provocando un
fulmineo corto circuito con il mito antico, pagano e cristiano, divino e
profano. Tutto questo Di Pietro lo
ottiene – ed è aspetto felicemente insolito nella poesia di oggi – grazie ad
una sua particolare abilità nel conferire un habitus discorsivo ad ogni genere di esperienza, emozione,
passione, attraverso le modulazioni di un linguaggio che coniuga con
sorprendente successo il colloquiale e il ‘sublime’ inteso nel senso classico
della parola, mai in quello di vezzo letterario (…)
Volentieri apro qui il commento
al capitolo delle sue traduzioni, felicemente intitolato “Sul pentagramma…i
sovrassensi”. L’intensità drammatica della “Tiger” blakiana è stata perlopiù
massacrata nelle versioni italiane disponibili. Qui invece essa mantiene tutta
la forza lampeggiante, mistica (nel senso attribuito al termine da
Wittgenstein), e insieme la sua scansione metrica vibrante come suono di tamburi
nella notte in una favola ancestrale (…)
Un’analisi a parte
richiederebbero le versioni dannunziane
-- La pioggia nel pineto, in
particolare – dove è lecito affermare senza alcuna esagerazione che Di Pietro
gareggia con l’originale, grazie alla duttilità del suo inglese
straordinariamente inventivo. La scelta di un lessico inglese così dotto e
variegato, intessuto di assonanze, allitterazioni e infiniti richiami
onomatopeici accuratamente ricercati con un estro creativo e una sapienza
verbale non dissimili da quelli caratteristici del nostro ‘Immaginifico’, può appartenere solamente a chi possieda la
lingua inglese al raro, rarissimo livello di Di Pietro; e quindi, da perfetto
bilingue (anzi, poliglotta) umanisticamente erudito, ne conosca a fondo le
intrinseche potenzialità come strumento letterario. Qui, veramente, si può
pensare al termine usato nel Settecento inglese di “imitations”, anziché
“translations”, ripreso poi nel Novecento dal grande poeta americano Robert
Lowell…
(Claudio Gorlier, postfazione
“In soliloquio dialogando”)
Questo magnifico nuovo libro di
Roberto Di Pietro (“Come conchiglie, liriche”) è una festa epifanica della
poesia, una sorta di rappresentazione teatrale su una pluralità di piattaforme
recitanti che si rubano la voce, anzi le
voci dei poeti convocati dall’autore con una ricchezza esplosiva di
epigrafi scelte con sicuro gusto letterario e collocate ad intarsio rispetto ai
testi della silloge. Nello sfolgorio
dirompente della sua sfrenata fantasia, il nostro segue i fili di una
recitazione a soggetto che si apre in panoramica diffusa, e che si irradia come
la luce per ogni dove, in una dispersione programmata e festosa del canto, con l’offerta di una ricchezza
inesauribile di tematiche che si moltiplicano a dismisura nel corso del loro
sviluppo. Forse l’annotazione più
pertinente per denotare la poesia di Di Pietro sta proprio nel vocabolo
dismisura, che andrebbe più correttamente scritto “dis-misura” per sottolineare
l’intento anche polemico o provocatorio dell’autore di proporre una totale
riqualificazione e un fondante ripensamento delle misure poetiche, attinenti
non solo alla forma del parlato, ma anche al modo stesso di inventariare
l’oggetto del discorso poetico: il metro con cui calcolare la grandezza del
reale, ovvero del mondo.
(Sandro Gros-Pietro, “Vernice, rivista di formazione e cultura”,
Edizioni Genesi, Torino)
Dante si pone come nume tutelare
dell’opera di Di Pietro. Anzitutto
l’autore si colloca sulla scia dell’Alighieri
per l’utilizzazione, insolitamente estesa in un poeta italiano, di passi
e riferimenti biblici. Il Fry, ne “Il Grande Codice”, cita tra i nostri
scrittori utilizzatori della Bibbia soltanto Dante; ed effettivamente, se
confrontiamo ad esempio la presenza del sacro testo nella nostra cultura e in
quella anglosassone, balza subito agli occhi la differenza. In Dante, fin dal primo verso della Commedia
(che guarda ad un Salmo e a un versetto di Isaia), la presenza della Bibbia è
fondamentale. Ma un altro importante
aspetto ‘dantesco’ della poesia di Di Pietro è la polisemia, cosa che fra
l’altro consente livelli diversi e successivi di lettura e di interpretazione,
rendendo accessibile al lettore meno impegnato il senso letterale, e
consentendo una decifrazione di altri significati, o sovrasensi, a chi vuole
penetrare più nel profondo (…)
Roberto Di Pietro mi stupisce sempre per l’efficacia con
cui struttura i versi ridando nuova vita alle forme tradizionali (…)
(Andrea Maia, “Vital nutrimento – Riflessioni”,
Pianeta P.A.N.I.S, et alibi)
Nella poesia di Roberto Di
Pietro, i simboli non sono il frutto
di una elucubrazione filosofica a tavolino, ma la risultante di svariate
esperienze esistenziali emotivamente sofferte alla luce di un profondo bisogno
di eticità. Quella stessa eticità dei
suoi componimenti satirici che nascono da un intimo bisogno di esorcizzare con
l’ironia la sofferenza morale inevitabile per chi, come lui, osservi in modo
non superficiale le problematiche della società contemporanea, con particolare
attenzione e sensibilità al tema dell’amore nelle sue varianti della solidarietà-carità,
più spesso tradite nel rapporto che lega l’uomo alla donna…perché l’Amore offeso è in realtà per il nostro
poeta, che ne ha una così alta concezione, il peccato più grave di tutti (…)
(Anna Germano Viviano, recensione “Come conchiglie, liriche”,
Rivista di Cultura ed Arte “alla bottega”, Pavia)
“Si sottolineano i pregi di una
poesia colta di avanguardia, che va oltre la poetica dei “Novissimi” e recupera
a ritroso l’irto e intricato labirinto di un Barocco scandito
dall’endecasillabo.”
(Motivazione Premio Letterario Internazionale Maestrale,
Coppa Presidenza della Regione Liguria)
Il linguaggio di Roberto Di
Pietro, sostenuto mirabilmente da una profonda cultura delineata nell’ambito
della sua poesia, si sbalza in decisa evidenza
rivelando come tale cultura sia capace di annullare i margini della
poesia stessa per riassorbirne gli effetti vitali in dimensioni di saldo e
nuovo umanesimo. Un itinerario interiore
e comunicativo, complesso, scavante e luminoso, il suo: dalla seduzione generata
dal verso, il poeta giunge alla continua riconquista del suo codice attraverso
l’accoglienza e l’appropriazione di un oltremodo vasto panorama, appunto,
umanistico. Di Pietro è l’emblema dello
scrittore che, pur raggiungendo mete di inequivocabile peso e spessore,
non vuole considerare meta il già
raggiunto, affermando così l’ansia connaturata a quel tipo di creatività
inesaustibile, da sé crescente in ramificazioni imprevedibili, assetata di
spazi. E’ questa, una caratteristica di
denso fascino, votata a rifondarsi e ad aprirsi su vastità compositive
inusitate, pronta a far suo ogni concetto di codice, di comunicazione, di
avanguardia (…)
(…) Il verso sapiente
(l’endecasillabo si staglia in una verità funzionale imprescindibile), la
parola calcolata ed esatta, il colto senso dell’allusione, sono preziosa
testimonianza di una poesia contemporanea di respiro europeo, tanto nel suo
aspetto formale, quanto sul versante contenutistico acceso da un forte rilievo
metaforico.
(da: “Letteratura Italiana Contemporanea – Testi, Contributi,
Aggiornamenti” – a cura di Bonifazi/Tommasi/Quiriconi; e “Agenda Arte e
Pensiero” 2005, Edizioni Helicon, Arezzo)
Contro l’opinione corrente, è
rarissimo che una poesia si presti, o appieno risponda, a una valorizzazione della
voce (…). E se ‘udibili’ senza eccessivo rischio snaturante e franoso possono
risultare le pagine di (…), o di Alda
Merini (con gli improvvisi colpi di frusta visionari, infiammati da sacrale
erotismo (…), o di Davide Rondoni, vero ‘cantore’ della percezione e dei suoi
dilaganti effetti (…), c’è, però, un solo poeta, oggi, per il quale la vocalità
entra a far parte delle condizioni della scrittura stessa, garantendo un’uguale
e profonda pregnanza di enunciato e di conduzione tanto alla pagina quanto all’etere:
Roberto Di Pietro. E questo perché la sua vocalità implica un senso
peculiarmente spaziale della comunicazione, e lo implica al pari del senso
temporale (che con marcatura di valore atemporale si lega pure al pedale
metrico) determinante e diffuso nel verso scritto. (Non dimentichiamo che Di
Pietro è anche autore di un prezioso contributo saggistico sull’argomento: Fonosimbolismo e vocalità poetica.)
(…) In pratica, Di Pietro, al
momento di consegnare un frammento della sua opera al pubblico di una platea,
qualunque sia il contesto occasionale, ha già mostrato in termini di
presupposto (e a ciò non suoni mai estranea la cornice contestuale delle sue
epigrafi) quale sia e in che modo vada gestita la funzione di quel che si può
chiamare un vero ‘palcoscenico della voce’.
E se dovessi rintracciare un’ascendenza allo spirito di tale poesia
rodente e corrosiva, ma calda, lirica talvolta da sfiorare una contrazione di
elegia, dovrei cercarla nella musica, non nella letteratura: nella commedia
madrigalistica di Adriano Banchieri, nel poliedrico Rossini del Viaggio a Reims…
(da: “Tendenze di Linguaggi - Orientamenti di poesia italiana
contemporanea”, a cura di Rodolfo Tommasi, Edizioni Helicon, Arezzo, 2008)
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