Ripubblico qui, ma le mie considerazioni le potrete leggere anche al link sottostante, sul sito di Anna Montella.
http://annamontella.weebly.com/recensioneriflessione-a-cura-di-danila-oppio.html?fbclid=IwAR277yh-UprITvrV9vX0x093Hl19xOLRYvXMPpXYHyC_s7xupgsyzqEgUP8
Oppure qui, sul mio profilo FB:
https://www.facebook.com/danila.oppio?__tn__=lC-R&eid=ARAG0i5yXWXrmZR2z0Mc6Qjmiik-VvE_fIPTolg2ngQSDo6UHO9prtPmZPdIxOXcwGUxoBl-zfizTDc1&hc_ref=ARRjJV-SDySGWkEqfSGWQqArSawaDDFkI6rpBuvEotEHaMN-4KYIOukEUqykQKMfxJE&__xts__[0]=68.ARCzEOnjHrcuVsK36CaWghmkAYnGjJBgOxf-Ad8XAXaj39cOcTOUiPQz2Itp3jmcgztYWgHS7lSuS3S2xqdIdZ4D_680HDfYZNj6ENS4gCJk07QxcH0it0FNgnoWV6VE1GmC2izIKuT-naSz0kzw3CDPR0O5Gc-cpwMamw4W9OWrNhN2ltT5_6wzXVmqE7ujPht2aA-ETX78e4sYFmGN4ZA5I8VsFDbBcEgpNEaND8OBAad7A8TrCo887taTh09EWBT9xzg3SKvZSwpdiUoan0L5Mj86oFIHaWsVonZsNAcqxT02VWkEntrjJ0wYKeZm5O07aa8fy3kVZTUXN3d4Tc0
Recensione, o se volete, sarebbe meglio dire riflessioni su:
IL MIO COCCODRILLO LO SCRIVO DA ME
di
ANNA MONTELLA
Qualche considerazione
nata dalla lettura del recente libro dell’autrice.
Tempo addietro, la
ricerca di una radice nobiliare era piuttosto diffusa, così accadde anche per
il grande Totò, che non era certo nato da blasonati lombi. Andiamo un po’ a
sfogliare il suo stato di famiglia.
Nel meridione d’Italia erano (e lo sono tuttora) piuttosto
diffusi i cognomi preceduti dalle particelle nobiliari De Di Della o Del e ciò faceva presupporre avessero radici
nobiliari. Cosa non sempre vera, poiché anche i lavoratori dei possidenti
terrieri (nel medioevo erano definiti “servi della gleba”, appartenevano al
feudo e quindi erano a tutti gli effetti “di o de quel tal marchese, conte o
barone che dir si voglia). Venne quindi aggiunta quella particella come senso
di proprietà, molto similare ai figli del tal nobile feudatario. Da qui una
certa confusione. Classico esempio quello di Totò.
Nasce il 15 febbraio 1898 nel rione Sanità come Antonio Clemente, sua madre nel 1921 sposa Giuseppe de Curtis, dalla cui relazione era nato Antonio. Nel 1928 il de Curtis riconosce Antonio come suo figlio, nel 1933 il marchese Antonio de Curtis viene adottato dal marchese Francesco Gagliardi Foccas. (notare che il “de” non porta l’iniziale maiuscola e questo mi pare significativo, in relazione a quanto sopra citato).
Nasce il 15 febbraio 1898 nel rione Sanità come Antonio Clemente, sua madre nel 1921 sposa Giuseppe de Curtis, dalla cui relazione era nato Antonio. Nel 1928 il de Curtis riconosce Antonio come suo figlio, nel 1933 il marchese Antonio de Curtis viene adottato dal marchese Francesco Gagliardi Foccas. (notare che il “de” non porta l’iniziale maiuscola e questo mi pare significativo, in relazione a quanto sopra citato).
Nel 1946 il tribunale di Napoli gli riconosce
il diritto a fregiarsi dei nomi e dei titoli di:
Antonio
Griffo Focas Flavio Ducas Comneno Porfirogenito Gagliardi De Curtis di
Bisanzio,altezza imperiale, conte palatino, cavaliere del sacro Romano Impero, esarca
di Ravenna, duca di Macedonia e di Illiria, principe di Costantinopoli, di
Cilicia, di Tessaglia, di Ponte di Moldavia, di Dardania, del Peloponneso, conte
di Cipro e di Epiro, conte e duca di Drivasto e Durazzo.
Tutto
questo baillame di nomi aristocratici lo trovo semplicemente ridicolo, ma cosa
dobbiamo aspettarci da un così grande comico?
Vera,
presunta o peggio ancora, millantata nobiltà, era comunque quel voler a tutti
costi appartenere all’aristocrazia, seppure chi si fregiava del titolo, avesse
portato le pezze sul culo. Poi avvenne che l’impero economico e industriale
surclassò anche chi si ornava di reali titoli nobiliari, eredità della ormai
decaduta Monarchia.
Tant’è che perfino chi ha lavorato sodo per far nascere industrie che
hanno dato lavoro a tanta gente ( e tanto danaro nelle tasche degli
imprenditori) era a sua volta disprezzato dai nobili con l’appellativo di parvenu. A quei tempi “faceva figo”
usare parole francesi, ma chi è il parvenu?
Una persona
arricchita rapidamente, che, pur affettando con presunzione atteggiamenti
distinti, conserva almeno in parte i modi e la mentalità della condizione
sociale precedente. ”Signori si nasce” diceva Totò! Questo a mo’ di
consolazione, per affermare che la discriminazione esisteva anche tra i ricchi
nobili e i ricchi industriali self made
men.
Prima del famoso sessantotto, esisteva un profondo divario tra le classi
sociali: i ricchi e i poveri, i figli della portinaia, della cameriera, de
muratore o del contadino, dell’operaio di fabbrica, del ciabattino... erano
considerati poco più di niente. E importava ben poco se possedevano un
quoziente intellettivo superiore a quello del figlio del possidente. Restavano
emarginati.
Oggi la disparità sociale non si nota più, ma quella
economica è rimasta pressoché uguale: i poveri sono sempre più poveri e i
ricchi aumentano i loro capitali. Ma questo è un altro discorso.
Se poi erano venute al mondo creature da una relazione
extra-coniugale, il cui padre non li riconosceva, spesso sui documenti erano
segnalate come figli di N.N. Semplicemente terrificante tale mentalità chiusa,
ottusa, colma di preconcetti e
grandemente ipocrita.
Con il movimento del Sessantotto,
il fenomeno socio-culturale avvenuto negli anni a cavallo del 1968, grandi
movimenti di massa, socialmente eterogenei composti da operai e studenti,
interessarono quasi tutti i Paesi del mondo con la loro forte carica
di contestazione contro i pregiudizi socio-politici. Si è trattato di una
vera “rivoluzione” sociale e politica che ha diviso l’opinione pubblica. Chi
sostiene sia stato uno straordinario momento di crescita civile e chi invece
pensa si sia trattato del trionfo di una stupidità generalizzata e di un
conformismo di massa i cui figli stessi della borghesia avrebbero voluto
abbattere il sistema borghese.
A mio
avviso, è avvenuta proprio quest’ultima realtà. Finalmente erano stati demoliti
i confini tra la ricca borghesia, la nobiltà e quelli della classe sociale più
modesta sotto il profilo economico. Ricordo bene quel periodo, essendo nata
anni prima dell’autrice del libro. E Anna Montella ha anticipato tale
movimento, avvertendolo già nella sua percezione istintiva di bambina precoce
sotto il profilo cognitivo e intellettuale..
Insieme
all’abbattimento della diversità tra le classi sociali, avvenne anche, pur se
più lentamente, quello dei pregiudizi maggiormente radicati. Il ’68 a mio
avviso fu proprio una rivoluzione che modificò il precedente contesto, e il
fatto che gli stessi giovani borghesi si siano battuti sul sovvertimento delle
differenze di classe sociale, ha fatto tirare un sospiro di sollievo a tutti
coloro che erano stati emarginati dalla società “con la puzza sotto il naso”. Altro che noblesse oblige, qui si
tratta di noblesse déchue! (nobiltà decaduta).
Chiedo
scusa se mi sono dilungata in tali disquisizioni, ma è quanto mi ha portato a
ricordare la lettura del libro di Anna Montella, oltre ad avermi fatto
assaporare la leggerezza dell’essere, nel raccontarci i suoi ricordi del
passato che vive ancora in lei, senza svelamenti di drammi, come in quello
straordinario racconto “Il mago di Oz” nel quale si riscontra l’autoironia
dell’autrice.
Vorrei
dire che ciò che si è vissuto nel passato, non si deve rimpiangere, né
tantomeno credere che, se fosse possibile schiacciare il tasto rewind del vecchio registratore e
registrarci sopra quello che avremmo voluto modificare, possa risultare utile.
Tutta la nostra esistenza è in crescendo, e il passato è la base sulla quale si
è costruito quel che siamo divenuti oggi.
Desidero aggiungere
che mi ha stupito e non poco che
l’autrice si sia definita pigra. Tutt’altro che indolente! Se per pigrizia
intende non aver iniziato in precedenza l’attività che sta svolgendo ora con
grande perizia e amore, credo sia dipeso che non fosse ancora giunta a completa
maturazione la sua straordinaria ecletticità, né che non si fosse presentato
il giusto momento, poiché avviene anche da alcuni particolari incontri la
spinta a progredire, che non si erano
svolti in precedenza.
Posso
testimoniare che Anna, al contrario di quanto sostiene nell’intervista
riportata nel testo del suo racconto biografico, è dinamica, sollecita,
efficiente, disponibile, precisa e lavora a pieno ritmo. Nel mio caso
specifico, ha realizzato tre e-book poetici, preparato e dato alla stampa due
miei libri, realizzato diverse video-poesie e inserito nelle sue antologie mie
opere. Il tutto, ad una velocità impressionante, e mi sono chiesta dove
trovasse il tempo per far tutto questo. Ma lo ha confermato nella stessa
intervista: rubando le ore alla notte!
Dalla sua
biografia e dall’intervista che troviamo alla fine del testo, si potrà
approfondire la conoscenza di Anna Montella.
Chiudo con
altre poche parole, poiché ne ho anticipate molte: IL MIO COCCODRILLO LO SCRIVO
DA ME, è un libro da bere tutto d’un fiato, dove poesia e scrittura si uniscono in una danza
d’amore per la vita. Dove i ricordi storici e personali convivono in simbiosi
perfetta, infine, dove Anna Montella si rispecchia e fa amare la sua scrittura,
insieme alla sua poliedrica attività professionale.
Come non innamorarsi dei suoi libri?
Come non innamorarsi dei suoi libri?
Danila
Oppio
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