E’ bene intenderci sul significato di questa parola.
Esiste un equivoco fondamentale secondo il quale la democrazia si esaurisce nel
diritto di voto. Certo, il voto è essenziale, ma la democrazia è anche altro.
Lo dice l’articolo 1 della Costituzione, in una delle sue possibili
interpretazioni. L’Italia è una repubblica democratica soltanto se i cittadini
LAVORANO, e cioè mettono la propria fatica, perché sia una repubblica e una
democrazia. Di strumenti ce ne sono tanti, basta leggere la Costituzione: la
libertà di esprimere il proprio pensiero, la libertà di associazione, e poi,
ancora, mezzi specifici come il referendum, la possibilità di presentare
proposte di legge, di inviare petizioni alle Camere. La democrazia è la
partecipazione attiva alla politica, che si realizza anche nella vita di tutti
i giorni, non necessariamente all’interno dei partiti, attraverso la fedeltà
dei propri comportamenti al principio della pari dignità di tutti.
Il fatto è che la nostra Costituzione è intervenuta
su una collettività nella quale imperava – e io temo imperi tutt’oggi – una
cultura secondo la quale la società deve essere organizzata attraverso la
discriminazione, come se fosse una piramide nella quale i pochi che stanno in
alto possono, mentre i tanti che
stanno in basso devono. Una società
basata sul privilegio, sulla sopraffazione, una società come quella disegnata
da Ivan Karamazov nel Grande inquisitore,
il capitolo dei Fratelli Karamazov di Dostoevskij che ha come presupposto
una concezione pessimistica dell’uomo, pavido, vile e ribelle, incapace di
scegliere tra il bene e il male, e per questo destinato a essere governato da
qualcuno che sceglie per lui. E’ il modello sociale nel quale non esistono
cittadini, ma sudditi, ovvero soltanto bambini che hanno sempre bisogno che la
mamma dica loro cosa devono fare.
Un popolo che ha bisogno del miracolo, del
sensazionale, di essere stupefatto ogni volta, che vive della costruzione di
idoli e della loro caduta, che pensa di poter essere solo spettatore e mai
protagonista, di non avere responsabilità e di potersi esprimere soltanto
attraverso il lamento.
Certo non siamo tutti così, ma il modo di pensare
comune mi sembra non si allontani da quello che ho descritto.
Se il problema è la cultura del Paese, come può
essere risolto mettendo in prigione la gente? (secondo il giudice, la prigione diseduca, non bisogna arrivare al reato, bisogna prevenirlo).
Evidentemente, trattandosi di
cultura, la strada non può essere che quella dell’educazione.
Da Lettera a un figlio su MANI PULITE
Di Gherardo Colombo - giudice
Ritiratosi in pensione, il giudice ha steso un programma nel quale interviene presso le scuole, trattando di giustizia, onestà, lealtà e della crescita personale dettata dall'apprendimento della Storia, anche recente, per esempio quella di MANI PULITE, che si era attivata contro la corruzione ormai da tempo dilagante.
Inoltre, del prendere coscienza dei diritti e doveri del cittadino, e degli articoli, almeno i più importanti, della Costituzione Italiana.
Danila Oppio
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