di
Maristella Angeli
per
ZeugmaPad
Era un giorno qualsiasi, come tanti altri. Percepivo energie misteriose.
Forse era solo suggestione, o un imbroglio, come pensano molte
persone. Ingenui, creduloni, eh sì. Si cade più facilmente di quanto si
creda in situazioni ambigue. Ma ero giovane, solo una ragazzina che non
comprende la falsità.
Accadde qualcosa che avrebbe lasciato un ricordo indelebile. Cose da
ragazzi, appunto, come sicuramente molti di voi avranno vissuto.
C’incontrammo, come sempre, nella solita via del centro, punto di
riferimento della nostra città. Avevamo tutti dai quattordici ai sedici
anni e formavamo un gruppo affiatato. Noi ragazze eravamo da poco
entrate a far parte di quel mondo misterioso “La Scuola Superiore”, ed
eravamo tutte prese dalle attenzioni, poco romantiche, dei ragazzi più
grandi.
Si parlava, si parlava… poi, come al solito, la domanda fatidica: “Cosa si
fa?”. Proposte varie senza trovare una sintonia. Ci sembrò, a un tratto,
che i maschi si fossero messi d’accordo.
«Verso sera tutti al club di Ezio! Ok?» dissero in coro.
«Ok!» rispondemmo noi, dopo un’occhiata d’intesa.
Questa volta eravamo tutti d’accordo: un incontro tra amici, come altre
volte.
Osservavo negli sguardi maschili una tacita complicità che mi
preoccupava, e un sorrisetto furtivo, che mi dava da pensare.
Ci ritrovammo, come stabilito, di fronte al club. Ero andata a prendere
Tania, che mi aveva pregato di salire e, con richieste di consigli sul
trucco e cose varie, non la finiva più. Lei aveva una famiglia molto
all’antica, quindi risolveva il problema dell’abbigliamento indossando
una gonna che arrivava al ginocchio ma, una volta uscita di casa, la
ripiegava talmente in alto da farla diventare una micro gonna.
Finalmente riuscimmo ad avviarci. Non avevamo alcun sospetto su che
cosa ci attendesse, d’altronde i nostri amici li conoscevamo da tempo.
Nell’attesa degli altri, Tania mi riempiva la testa con le sue storie
d’amore e di corteggiamenti, mentre io, il brutto anatroccolo del gruppo,
restavo silenziosa. Finalmente li vedemmo arrivare, spavaldi come
sempre, con il sorriso e le risatine allegre.
Entrammo incuriosite al club di Ezio. C’era una strana atmosfera e una
semioscurità inquietante.
Si notava una certa tensione, e gli sguardi incuriositi dei presenti erano
diretti verso un mucchio di vecchie carte al centro di un tavolo. Eravamo
tutti un po’ impacciati, ma ci sedemmo in circolo dopo uno sguardo
d’intesa.
Tania interruppe quel silenzio.
«Ma… a che gioco si gioca?»
«Segui le indicazioni Tania, questa sera vi proponiamo un’esperienza
mitica!» rispose Ezio.
«Dai, ma è uno scherzo?» ribattei incuriosita, e mi misi a sedere come
tutti gli altri.
«Le mani devono toccarsi» disse qualcuno, e qualcun altro rispose: «Non
approfittate dell’oscurità...»
I cosiddetti “Mani lunghe” coglievano ogni buona occasione per toccare
le gambe alle ragazze o per far scivolare le mani…
Giacomo, un nostro compagno di classe, era il conduttore di quello
strano gioco a cui non avevamo mai partecipato.
Con un silenzio emozionante pose delle lettere sul tavolo formando un
cerchio. Ogni partecipante appoggiò il proprio dito al centro, proprio
sopra un indicatore di legno. In breve, qualcosa o qualcuno mosse
l’oggetto in una direzione precisa. Tania si lasciò uscire un grido, il suo
vicino sobbalzò. Gli sguardi divennero timorosi e uno strano cigolio
aumentò la suspense. Proseguimmo il gioco, nonostante il timore
crescente.
«Chi sei? Mostrati!» disse Giacomo con voce sicura.
Lo strano aggeggio di legno iniziò a spostarsi velocemente. Sembrava
impazzito!
Un urlo acuto di Tania ci fece raggelare il sangue.L’indicatore si era
fermato proprio di fronte a lei. Giacomo chiese ancora in modo deciso:
«Rivelaci la tua identità!»
“No”. L’indicatore aveva formato quella parola! Tornò poi verso Tania
fermandosi, come a scrutarla.
Vidi la mia amica sbiancare in viso, e un tremolio crescente si percepiva
dalla vibrazione della sedia. Le tremavano anche le braccia.
«Non staccate le vostre mani, può essere pericoloso!» ammonì Giacomo
con sguardo severo.
«Restate concentrati, e non lasciate l’indicatore!»
L’oggetto continuava a sostare di fronte alla povera Tania, sempre più
pallida e con gli occhi sbarrati dal terrore.
«Che cosa vuoi da Tania?»
Il “coso” zigzagava. Giacomo insisteva.
«Rivelati dunque!»
Non so bene come, ma a un tratto la luce si spense e un urlo, seguito da
molti altri, fece eco nella stanza.
Balzammo in piedi, pronti alla fuga. Avevamo paura, anzi, eravamo
terrorizzati!
La catena si era sciolta e molti di noi cercarono le mani dei compagni, o
Balzammo in piedi, pronti alla fuga. Avevamo paura, anzi, eravamo
terrorizzati!
La catena si era sciolta e molti di noi cercarono le mani dei compagni, o
si abbracciarono cercando conforto.
«Mai lasciare la catena! Mai lasciare una seduta senza averla conclusa.»
Giacomo continuava a urlare, sudando copiosamente. Sudore gelato.
Nella confusione generale, e nel buio in cui il tempo sembrava fermarsi,
alcune mani palpeggiarono le ragazze toccando le parti intime.
La luce, riaccesa all’improvviso, ci permise di capire cosa era accaduto.
Stravolte in viso, qualcuna con le lacrime agli occhi, ci abbracciammo.
Rimasi a mani giunte, in preghiera, per allontanare eventuali presenze
demoniache.
«Manu, mi accompagneresti a casa?» sussurrò Tania agitatissima.
«Certo» risposi, «poi sarai tu a riaccompagnarmi. Vero?»
Lasciammo quel luogo dove avevamo vissuto momenti di tensione e
spavento. Ci volle un bel po’ di tempo per riprenderci. Eravamo sicure
che dovesse esserci qualche trucco congegnato dai ragazzi. Uno scherzo
di cattivo gusto!
Ci allontanammo in fretta, senza neanche e salutare gli altri.
Passai una notte insonne, tra incubi e tremori. Tania mi telefonò in
piena notte raccontandomi un terribile sogno appena avuto. Il resto
della nottata trascorse cercando di tranquillizzarla con racconti e favole,
come si fa con i bambini spaventati.
Ne parlammo l’indomani con le nostre amiche, ritrovandoci nell’atrio
della scuola. Qualcuna di noi confessò che, per la paura avuta, non era
riuscita dormire e si era infilata nel letto dei genitori.
Giacomo ci attese all’uscita, per avvisarci che il locale, dove eravamo
stati la sera precedente, doveva essere sistemato.
Eravamo ancora timorose, ma avevamo sempre dato una mano e, per
superare il ricordo di quella fatidica serata, decidemmo di andare.
Nel pomeriggio, come convenuto, ci ritrovammo di nuovo di fronte al
club. Eravamo preoccupate, ma era pieno giorno, quindi non poteva
accaderci nulla.
Entrati nel locale rimanemmo a bocca aperta. Non ci aspettavamo quella
scena. La stanza era in completo disordine.
«Sapete, può succedere quando s’interrompe una seduta» affermò
preoccupato Giacomo.
Spostammo i mobili, e rimettemmo a posto i cuscini, che sembravano
essere stati gettati in tutte le direzioni.
Cercai di scoprire qualcosa di più su esperienze passate, ma non cavai
molto dai ragazzi presenti. Notai solo sguardi complici tra i maschi del
gruppo.
Terminata l’impresa, ritornammo a casa, ma dovevamo scoprire la
verità.
Tania aveva le sue informatrici, e io i miei fidati amici; alcuni di loro
giocavano a calcio nella stessa squadra.
Riuscimmo a intercettare una telefonata.
«Giacomo, ma come hai fatto a non scoppiare a ridere?»
«Dai, era solo uno scherzo.»
«Un po’ pesante però!»
Giacomo stava parlando con Dario.
«Di’ un po’, ma eri tu che spostavi l’indicatore di legno. Vero?»
«Io? No. Ma non dovevi essere tu a spostarlo?»
«Beh, certo... forse l’ha spostato Aldo!»
«Aldo non sapeva niente. E chi è stato?»
«Non sapeva niente? Ma sei sicuro? Perché a me ha detto: vi è piaciuto lo
scherzo?»
«Mah! Beh, ne parliamo a voce che è meglio.»
Ci guardammo perplesse. Riccardo, l’amico comune, ci telefonò
fornendoci un’informazione che aveva avuto da Paola, la sua fidanzata.
«Paola era dalla parrucchiera e ha sentito la verità. Sì, la verità su quella
sera!»
«Hai saputo notizie certe?» gli chiesi.
«Una ragazza, Silvia, quella timidina con i capelli sempre legati a coda di
cavallo.»
«Lei?» esclamò Tania.
«Ha beffato gli stessi maschietti manovrando l’indicatore di legno: era
lei che lo spostava.»
Ci guardammo e scoppiammo in una risata generale.
«E adesso? Lo diciamo ai ragazzi?» chiesi rivolgendomi ai miei amici.
«Loro volevano metterci paura quindi... perché dirglielo?»
«Già, perché?»
«Sì, ma le toccate erano dei maschi!» dissi con tono di rimprovero.
«Loro dicono di no. Non sono stati loro!»
I ragazzi ancora oggi, dopo molti anni, s’interrogano su chi avesse
allungato le mani, e le ragazze su chi avesse messo sotto sopra il club di
Ezio. Beh, abbiamo deciso di mantenere il mistero, e chissà se
incontrandoci, ormai anziani, potremmo conoscere cosa accadde quella
fatidica sera.