14 giugno 2013
Quando arrivai, in quella giungla
inestricabile, mi chiesi dove avessi lasciato il machete poiché, per farsi
strada, occorreva tagliare le sterpaglie e l’erba che era cresciuta così alta,
da arrivarmi oltre le spalle. Dovevo raggiungere la pianta di rabarbaro, prima
dell’arrivo delle macchine decespugliatori, che avrebbero raso al suolo anche
quegli steli rossi, ottimi per confezionare una squisita marmellata.
Tornai indietro e mi procurai un
coltellaccio affilato, per creare un varco in quell’intrico vegetativo che
m’impediva la visuale per potermi orientare.
Finalmente raggiunsi la pianta di
rabarbaro e, con lo stesso arnese, tagliai tutte le foglie con il loro
stelo. In seguito telefonai al
giardiniere. Eh sì, non mi trovavo in una foresta tropicale, ma molto più
banalmente, nel giardino della casa di campagna, che era stata chiusa per un
anno intero, lasciata in balìa di ragnatele grandi come lenzuoli stesi al sole,
e di lumaconi neri che divoravano
ogni vegetale commestibile, in quella giungla mai vista prima d’ora, tanto che
mi sarei aspettata di intravedere la criniera di un leone e udire l’urlo di
Tarzan.
Ora sono coperta di graffi
ovunque, soprattutto sulle braccia, lasciati da rovi ed erbacce che non sono
riuscita ad evitare. Mi pare di aver litigato con un gatto…verde!
Danila Oppio
Davvero un'avventura dei nostri giorni e finalmente non in paesi esotici, ma nella campagna veneta e, non alla ricerca della Pietra Verde, ma per salvare quell'unica pianta di rabarbaro. Chissà chi ne ricorda ancora l'aroma? Negli anni '50 e '60 si trovavano ancora facilmente le caramelle al rabarbaro nelle confetterie. Roba da antiquari ormai e da archeologi alla Indiana Jones .
RispondiEliminaCiao. Angie