Tutto è cominciato grazie al biglietto
allegato al vassoio di ceramica (quello con seppia-pesce-balena) siciliana Fratantoni di Santo
Stefano di Camastra (ME).
L'ho letto tutto e in una parte, appoggiata
a una foto piena di giare una accanto all'altra, c'era questa frase:
" ... Sulle ceramiche c'è tutto. C'è
tutta la verità. Si aprono le stanze dove la gente vive, dove mangia, dove
guarda la moglie e litiga, dove l'accarezza, dove la gente è stanca e dove si
alza la mattina che sta bene e ha voglia di respirare l'aria e queste cose vere. Guardate
le ceramiche e c'è tutto, come nelle poesie e nelle canzoni... "
Non è una bellissima scoperta? Sottsass,
pensavo fosse uno pseudonimo e invece no. Quante cose ho da imparare!
Angie a Dani pronto! pronto!
Ti copio qui qualcosa di ETTORE SOTTSASS, che mi è piaciuto tanto, da 'Le ceramiche delle tenebre':
Ti copio qui qualcosa di ETTORE SOTTSASS, che mi è piaciuto tanto, da 'Le ceramiche delle tenebre':
Ho letto il testo, Angie, ed è scritto così bene, che ne sono rimasta entusiasta. Conoscevo di fama Ettore Sottsass, ottimo architetto e marito della scrittrice e traduttrice Fernanda Pivano, la Nanda della quale lui scrive in questo brano. Dani
Queste ceramiche le avevo pensate l’anno
scorso quando ero malato che quasi salutavo per sempre i parenti i conoscenti e
tutti gli amici e io non ci facevo molto caso perché di natura sono ottimista.
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Ma anche se sono ottimista, l’anno scorso è stato un anno scuro: tutti
piangevano e parlavano di come sarei morto, sottovoce nel corridoio dell’ospedale
e la Nanda è gonfiata dieci chili dallo spavento e prendeva pillole
antiallergiche che non servivano a niente ed era sempre pallida con gli occhi
sbarrati. Perciò queste ceramiche si chiamano ceramiche delle tenebre.
Le pensavo di notte quando non potevo dormire per via delle medicine e
ascoltavo il respiro impaurito della Nanda, quel respiro impaurito della Nanda
e perciò si chiamano ceramiche delle tenebre. Perché era notte con la porta
aperta sul corridoio dell'ospedale e nella luce viola si sentiva la paura di
tutti e tutti avevano paura del destino che li aveva spinti su quella sponda
viola dell’ospedale. Eravamo una popolazione di poveri miserabili, silenziosi,
ammutoliti, zittiti. Eravamo approdati male e questa è una parte delle tenebre.
Le altre tenebre sono quelle dove si vede tutto nero: poi non so che cosa si
vede quando si è morti ma la mia idea è che si vede anche tutto nero che non
finirà più, per sempre. Per questo di solito le ceramiche delle tenebre sono
nere e fin qui la faccenda riguarda il nero del colore delle tenebre, il nero
del quale si potrebbe parlare a lungo. Chi ha mai parlato di nero? Dei capelli
della messicana, di quel nero lucido, profumato di gardenie, di pettini, di
nastri, di letti bagnati dal sudore della messicana? Chi ha parlato di tutti i
neri sparsi come la benedizione, come l’incenso, come le nuvole, sparsi sulla
periferia, sulle case, sugli uomini, sulle donne, sui bambini, sulle mani e
nelle unghie dei minatori di carbone? Sparsi anche sulla cattedrale gotica. Chi
ha parlato del nero delle pennellate giapponesi? Del nero di Bond Street? Del
nero della Bentley lucidata e messa dietro i cristalli? Del nero delle calze
sporche dei preti? Del nero della peste delle gondole? Che poi il nero è solo
una parte delle tenebre.
Invece ci sono altre tenebre. Ci sono le tenebre dell’angoscia con occhi
bianchi fissi che costringono uno a seguire il suo maledetto destino, occhi che
ipnotizzano crudeli e pedanti, che non si conoscono, Questo tipo di tenebre è
rosso arancione, un lago straripato di rosso arancione e gli occhi bianchi in
India li hanno fatti sul serio, veri e li hanno dipinti anche di ceramica e si
vedono dappertutto, spuntare dal caldo soffocante come piccoli funghi maligni,
come le prime croste della lebbra, come il primo segno della peste, spuntare
dalla terra, dai muri, dalle ghirlande marce sotto le quali sono sommersi,
quegli occhi maledetti, sommersi dai fiori che sono il segno tangibile delle
preghiere, scongiuri, invocazioni di pietà e misericordia. Ma ci sono anche
altre tenebre: le tenebre del tempo dove le lune ruotano come sorde campane di
piombo senza suono, di argento lucido come l’acciaio inossidabile che non
arrugginisce mai, maledizione, e così via.
E’ che più penso alle tenebre e meno so come sono e diventa sempre più
difficile definirle. Si scende nelle tenebre attraverso la luce viola del
corridoio dell'ospedale? O si passa attraverso barriere roventi?
Ci si arriva trafitti dalle palle di mitragliatrice, com'è stato trafitto il
mio amico Alberto Ruga, tenente comandante di compagnia, che cercava di tornare
a casa a piedi dal Montenegro? Com'è stato trafitto il mio amico Arnaldo Trezzi
caporalmaggiore furiere di Intra? O ci si arriva col cuore marcito come c'è
arrivato il mio amico Vadacchino all'ospedale delle Molinette invisibile quella
sera nella nebbia d'autunno sul Po? O ci si arriva sbattuti come sassi contro
un muro, Mario? Papà, le tenebre sono nere o bianche?
Forse sono bianche di gesso. Perché in fondo non è detto che le tenebre siano
nere. E non è neanche detto che siano arancione. Che le tenebre sono nere e
un'idea retorica fabbricata in Occidente e forse le tenebre invece sono bianche
come vuole l’idea retorica dell’Oriente. Possono essere bianche come quella
balena, come le mura di Lima, come le ossa, come i mari in bonaccia, come le
ghiaie morte dei monti silenziosi, come i lenzuoli che coprono i cadaveri, come
i fiori delle barelle sul Gange. Io non so come sono le tenebre.
O forse sono come quel giovanotto che mangiava al Grand Hotel e diceva cose
sull'invidia a una ragazza - presuntuoso, insolente, noioso e fesso come gli
architetti di sinistra. Ignorante e incivile come i giornalisti che sanno
tutto? Parlava dell’Invidia e il cameriere gli disse aggressivo: "Ancora
acciughe?"
O le tenebre sono lo spazio e i suoni che fanno disperare Beckett?
O sono la campagna elettorale? Con le fotografie di quelle povere facce
orribili - miserabili, col sorriso buono per l’occasione - con un libro in mano
per l'occasione - mangiatori di spaghetti, di zampone e mostarda di Cremona,
chiavatori di serve? E’ che proprio non lo so.
Le tenebre sono una gran storia: se uno ci pensa non lo sa. Allora comincia una
stanchezza grigia, domenicale, con pioggia e la serranda del bar sale e
tabacchi tirata giù, mentre la classe dirigente mostra lo sprint sulle
autostrade.
Se uno ci pensa, comincia una stanchezza senza fine. Come le notti
dell’ospedale, col caldo umido delle trachee e degli esofagi e i loro odori di
sangue, acidi gastrici e orina. Ad ogni modo queste sono le ceramiche delle
tenebre.
E perciò sono dedicate alla Nanda. Perché nessuno come lei ha orrore delle
tenebre, forse Hemingway, forse Henry Miller, forse Allen Ginsberg che le
vogliono bene, hanno orrore delle tenebre come lei: hanno orrore della
politica, la violenza, l'ipocrisia, la mediocrità, i voltafaccia, gli
arrampicatori, i fessi, i merdosi, la massa, i miserabili, le serve, i
professori - la morte.
Degli altri che conosco, nessuno. E nessuno come la Nanda disperatamente mi ha
difeso, ora per ora, dalle tenebre.
Perciò queste ceramiche sono dedicate a lei e ad ogni modo quelle che volevo
fare erano ceramiche delle tenebre e naturalmente non ci sono riuscito.
Naturalmente non ci sono riuscito ma la colpa è soltanto mia. Non è delle
tenebre e non è delle ceramiche.
Le tenebre per loro conto ci sono da sempre e anche le ceramiche: da cinque
seimila anni da un'enorme quantità di anni le ceramiche ci sono - dolci come il
pane e sono anche più vecchie del pane. Sono più vecchie della Bibbia e di Gesù
Cristo, più vecchie di tutte le poesie che si sono scritte, più vecchie delle
capre e dei gatti, più vecchie di tutte le case, più vecchie di tutti i
metalli. Le ceramiche sono vecchie come i denti di mammouth, come le costole
degli orsi, come le corna delle renne. Sono la carta alla quale si è consegnata
l'idea delle tenebre per la prima volta, facendo con le mani forme del tutto
inventate, ancora più inventate di quelle dei cestini che sono più vecchi
ancora delle ceramiche, poveri vecchi cestini spariti, marciti nella terra nera
delle tundre. Per le ceramiche si sono inventate forme completamente diverse da
quelle dei cestini e si sono anche inventate righe e segni e figure
completamente inventate come la geometria che è completamente inventata e anche
la simmetria, e l'ordine, che è completamente inventato, da contrapporre alle
tenebre ecc. ecc. Anche è completamente inventata l'idea di come i segni vanno
d'accordo con le forme e così si inventeranno sempre nuove invenzioni e ordini
sempre nuovi da contrapporre alle tenebre: e gli ordini - l'idea dell'ordine -
è sempre una idea malinconica perche è come mettersi a combattere una battaglia
perduta, tanto le tenebre vincono sempre: e poi perché l’ordine? Ad ogni modo
l'idea delle tenebre fu consegnata a quelle ceramiche di cinque o sei o
diecimila anni fa e adesso quelle vecchie tenebre e quelle vecchie ceramiche
vengono fuori da sotto le sabbie petrose di tutti i deserti, dalla tomba dei
paesi e delle città di allora, da Jarmo, da Hassuna, da Samarra, da Halaf, da
Susa, da Uruk, dalle colline di morte della valle del Tigri e dell' Indo, di
Habur e del Balikh, da tutte quelle valli lontane del sud o del nord. Vengono
fuori adesso righe, segni, geometria e figure: i grandi uccelli disegnati sulle
ceramiche col becco lungo le grandi ali e le lunghe gambe e gli artigli, grandi
uccelli fruscianti che - lo so benissimo - popolavano le notti blu delle
campagne di allora, le stanze notturne delle ragazze di allora, le paure di
allora. Le tenebre di allora, quelle che Enkedu raccontava a Gilgamesh "il
palazzo di Irkalla, Regina delle tenebre, il palazzo che se uno entra, non esce
- giù sulla strada senza ritorno".
"Lì c'è la casa dove la gente siede nelle tenebre; il loro pane è la
polvere e la loro carne e l’argilla. Sono vestiti come gli uccelli con le ali
per coprirsi e non vedono luce; siedono nelle tenebre."
Consegnati alla terracotta, quei grandi uccelli vengono fuori adesso da sotto
terra: i grandi uccelli fruscianti che erano la paura delle notti di allora,
silenziose notti piene di stelle e di profumi che arrivavano da dove, dai
cespugli di gelsomino, dagli alberi di limone, dai campi di orzo, dalle palme
sul fiume?
Ma poi, quando fu quell’alba? Quell'alba, speciale, quella speciale alba d'oro
quando improvvisamente dalla pianura a nord i montanari precipitarono come un
muro uncinato per ridurre i canti del mattino a un silenzio di cenere?
E quante, quante furono le albe d'oro che i montanari del nord scesero a
uccidere?
E dove sono oggi i montanari del nord, dell'est e dell’ovest? E quando arriveranno?
Queste cose diventano sempre più complicate. I grandi uccelli delle ceramiche
non rispondono chiaro, soltanto minacciano l'arrivo improvviso delle tenebre.
E a me, non è riuscito, ma era la minaccia e l’idea delle tenebre che volevo
consegnare alle ceramiche e che io sia perdonato dalla mia presunzione, la
colpa è soltanto mia se non mi è riuscito, non è delle ceramiche.
Non è che l'idea sia troppo grossa per le ceramiche, né le ceramiche sono
troppo fragili per sopportarla. Le ceramiche sopportano tutto - la vecchia
asciutta terracotta sopporta ogni cosa, sopporta le culture, come dicono gli
etnologi, le società, la gente, i popoli, i reami, i sultanati e anche gli
imperi: anche gli imperi degli Incas e dei Maya, anche quelli degli Arabi, gli imperi
Mogul, anche le storie della Grecia, anche gli imperi della Cina, anche gli
azzurri imperi della Cina stanno bene sulle spalle della ceramica, di quella
ceramica "azzurra come il cielo dopo la pioggia, quando si vede tra gli
squarci delle nuvole", quella ceramica che non si sa com'era perché è
sparita, ne hanno fatta troppo poca, solo per qualche anno durante le Cinque
Dinastie, mille anni fa, e si chiamava Ch'ai e ne hanno parlato i poeti nelle
poesie.
Così, in mezzo a tutti i secoli che ci sono stati e che sono passati sui
deserti e sui fiumi, sui laghi e sugli imperi e sulle armate crudeli degli Unni
della Siberia e dei Tartari del lago Baikal e dei Mongoli di Jinghiz Khan e su
tutte queste storie di suoni e armi e carovane e contadini e preti e storie e
storie, qualche pezzo di ceramica - che poi non c'è più - ha lasciato un segno
azzurro perenne, un azzurro come il cielo dopo la pioggia, quando si vede tra
gli squarci delle nuvole. E i generali, i colonnelli, i sergenti, i
massacratori, gli uomini forti? Dove sono gli uomini forti?
Niente. Fregati dall'azzurro speciale di un pezzo di ceramica.
Il fatto è che gli imperi si possono anche contare per il colore della
ceramica. Gli imperi hanno anche il colore della ceramica e se poi i professori
raccontano le battaglie e fanno gli elenchi delle dinastie, perché neanche
sanno i nomi degli imperatori, voi andate a leggere sulle ceramiche che tanto
c'è tutto. C'è tutta la verità. Si aprono le stanze dove la gente vive, dove
mangia, dove guarda la moglie e litiga, dove l'accarezza, dove la gente è
stanca e dove si alza la mattina che sta bene e ha voglia di respirare l’aria e
queste cose vere. Guardate le ceramiche e c'è tutto, come nelle poesie e nelle
canzoni. C'è tutto e basta. Ci sono gli uomini senza divisa e senza armi seduti
a chiacchierare con le ragazze, a bere il caffè, a mangiare la frutta, a
guardare i fiori, a curare i pesci e anche a tenere nelle mani un oggetto
prezioso - al tempo della primavera e al tempo dell’autunno, con la coscienza
rara che è primavera e che è autunno.
O anche che è il tempo dei regali e allora trovate Salah-el-din che poi era il
Saladino Sultano di Egitto, che manda quaranta pezzi di ceramica di un colore
grigio verde speciale a Nur-ed-din, Sultano di Damasco e adesso quel verde si
chiama Seradon e in cinese si chiama Yüch e andava dal grigio al verde oliva
fino al verde giada...
Perché loro si regalavano ceramiche. Ve lo immaginate il Sultano degli Stati
Uniti d'America che regala quaranta ceramiche al Sultano di tutte le Russie
Bolsceviche?
Questi Sultani di oggi non credono alle ceramiche. Ancora meno badano a un
grigio che diventa verde che va verso l’oliva e poi diventa verde giada. Questi
qua non ci credono: loro credono alle atomiche.
E le tenebre si allargano ancora.
Le tenebre si spandono come un'ombra livida dovunque, ma io non posso fare
niente. Ben poco. Solo ceramiche, e dedicarle alla Nanda perché si faccia
coraggio, se può. Potrei anche scriverci sotto "stronzo chi le rompe"
e sperare che il Sultano degli Stati Uniti d'America o il Sultano di tutte le
Russie Bolsceviche quando le romperanno con le loro atomiche, lo vengano a
sapere: ma di più non posso fare. '
Ettore Sottsass
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