Nel pubblicare il precedente articolo, non posso esimermi dal collegare le ceramiche all'antenato della famiglia di mio marito, che fondò a Palermo, nel lontano "700, una fabbrica di maioliche e ceramiche. Il suo ritratto, affiancato da quello della consorte, si trova nel palazzo Comitini di Palermo, sede della Provincia Siciliana.
Una breve storia apparsa sul quotidiano La Repubblica
SICILIA - Il boom della ceramica nella
città del Settecento
AMELIA CRISANTINO
SABATO 9 MAGGIO 2009, LA
REPUBBLICA, PALERMO
L´avventura
del barone Malvica che creò la Fabbrica reale alla Rocca
IL MOTORE della breve
fioritura industriale nella Palermo di fine Settecento fu la moda: chi poteva
permetterselo voleva pavimenti all´uso di Napoli, vasellame in maiolica all´uso
di Marsiglia, terraglia all´uso inglese. Le ville della nobiltà generavano
commesse, i pavimenti s´erano trasformati in splendidi tappeti di maiolica che
richiedevano nuove competenze.
Alla fine del Settecento
Giuseppe Malvica creò un villaggio industriale alle porte della città
Il boom delle commesse
esigeva pavimenti in maiolica per le ville aristocratiche L´impresa del
borgo-officina attirò oltre mille abitanti
Pittori di mattonelle
preparavano scene dove i cani inseguivano i cervi, le ninfe fuggivano o
sorridevano e ghirlande di fiori s´intrecciavano agli angoli. I mattoni,
preparati nelle officine del lungomare e smaltati nelle botteghe dello Stazzone
vicino porta Sant´Agata, dovevano «essere di creta dell´acqua delli Corsali»
che era la più fine. Il vasellame da tavola aveva un ottimo mercato, tanto che
già nel 1739 il marchese don Giovanni Brancaccio fondava fabbriche di vasi di creta
e subito pensava a una nuova città, voleva chiamarla "Brancaccia".
L´argilla buona arrivava anche dalle cave di Santo Stefano di Camastra o da
Partinico. Nel 1765 troviamo che le officine palermitane adottano la tecnica
decorativa del "terzo fuoco" per ottenere le più delicate sfumature
di verde e di rosa: e Terzo fuoco a Palermo s´intitola una delle poche
pubblicazioni su un argomento poco esplorato, che ci permette di seguire i
laboratori artigianali mentre tentano di diventare industria.
A Palermo ben presto
troviamo un´orgogliosa rivendicazione della propria bravura, nel 1766 le
Novelle miscellanee di Sicilia scrivono di fornaci da cui vengono fuori
statuine così leggiadre da reggere la competizione «di tutte le migliori
fabbriche d´Europa». Ma per impiantare le fabbriche servono soldi e qualificate
maestranze, mancavano entrambi. E chi aveva i soldi spesso difettava della
mentalità industriale. Così poteva capitare che l´officina del duca di
Sperlinga fosse in grado d´esibire raffinate tabacchiere in oro e smalti blu,
che però servivano solo a soddisfare la vanità del suo proprietario.
Giuseppe Malvica è un caso
a parte. Per sole 25 once compra il titolo di barone da Gabriello Castelli, ma
era figlio di mastro Vincenzo e veniva da Ficarra. Una volta a Palermo il
giovane Malvica cerca casa vicino alla dogana e al porto. Nel 1765 è intento ad
accumulare merci nei magazzini: un tipo sveglio, accusato dagli operai linaioli
di manovrare i prezzi con l´accaparramento. In pratica uno speculatore, andava dove
c´erano soldi. E con le maioliche i soldi arrivavano abbondanti.
Nella testimonianza di
Villabianca il Malvica mescola attività commerciali e produttive: importa panni
e cuoi inglesi, esporta sommacco, olive, grano, amido, pasta di liquirizia,
saponi. Ed è deciso a produrre di tutto. Nel 1799 il neo barone ottiene da re
Ferdinando la licenza per l´apertura di un opificio di terraglie alla Rocca: il
suo è un "villaggio industriale" in posizione strategica, gode di un
regime fiscale di privilegio assoluto: è infatti a cavallo tra il territorio di
Palermo e quello di Monreale, le merci non pagano dazi di entrata o uscita
dalla capitale, e l´acqua è abbondante. Con le sue iniziative imprenditoriali
il barone Malvica attira nel villaggio più di mille abitanti, nel 1800 ci sono
tre importanti novità: viene aperto un negozio di carni con macello, è creato
un posto di guardia, lo stesso Malvica chiede l´elezione a parrocchia della
chiesa dei padri agostiniani.
Sono anni molto vivaci, a
Palermo c´è la corte fuggita di fronte all´avanzare dei francesi di Napoleone e
la Sicilia è una roccaforte degli inglesi: soldi abbondanti e mercato vivace,
molto contrabbando. Malvica chiede un mutuo per ingrandirsi, vuole fabbricare
panni e ceramiche: ottiene il prestito, e anche un decennale privilegio per la
manifattura che potrà fregiarsi del titolo di "fabbrica reale". Per
qualche anno l´esperimento della Rocca va a gonfie vele, suscita molta
ammirazione. Il barone Malvica ha creato nel suo villaggio una «manifattura
centralizzata»: quasi un´utopia, un meccanismo dove le varie produzioni si
integrano e le merci sono modernamente indirizzate alle diverse fasce di
acquirentio. Una vera novità era la scuola per l´apprendimento delle arti, nel
tentativo di formare una manodopera specializzata che rendesse superfluo il
ricorso ai costosi «artisti forestieri».
Tutto sembrava andare nel
migliore dei modi, ma l´equilibrio su cui poggiava l´impresa della Rocca era
molto precario. Dipendeva dalla politica internazionale, e il generale entusiasmo
impediva di valutarne i rischi: non c´era supplica o privilegio in grado di
fermare gli eventi negativi che già s´appressavano. Lo si vide quando nel 1815
Ferdinando lasciò la Sicilia e anche gli inglesi andarono via, la sconfitta di
Napoleone faceva ripiombare l´isola fra le aree periferiche dell´economia
mondiale. Buona per esportare materie prime e importare manufatti.
Fu allora che si videro
tutti i difetti degli opifici Malvica: niente macchine a vapore nelle fabbriche
tessili, poche macchine idrauliche. Solo buoi, muli e braccia per muovere le
macine. Così, quando l´allargamento dei mercati portò l´invasione dei prodotti
esteri, fu la fine. Le fabbriche vennero chiuse, gli artisti forestieri
andarono via. Nel 1825, dimenticata ogni velleità di moderna città industriale
la Rocca si avviava a diventare un «poverissimo villaggio». Amelia Crisantino
Danila Oppio in Malvica
Un piccolo inciso, riguardo ai membri della famiglia Malvica. Giuseppe Tomasi di Lampedusa, l'autore de "Il Gattopardo", ha citato un discendente di quel Giuseppe Malvica, nel suo romanzo. Il personaggio, realmente esistito, è il barone Malvica, cognato del Principe di Salina Fabrizio, e zio di Tancredi (Alain Delon nel film), avendo sposato la Principessa di Salina, sorella di Fabrizio. Anche lui, antenato di famiglia. Nobiltà ormai decaduta, dopo la caduta della monarchia.
Affascinante questa storia di produttività all'estremo. Non credevo di tirar fuori tanto passato dal mio bigliettino di accompagnamento al vassoio di ceramica siciliana.
RispondiEliminaAffascinante e oggi quasi incredibile la voglia l'industriosità che porta quasi all'industria
e comunque, cosa importante, allo studio di un mestiere artistico e al suo apprendimento attraverso quella cosa che ancora oggi si chiama o vorrebbe tornare a chiamarsi 'APPRENDISTATO'.
Angela Fabbri
Stiamo perdendo gli artigiani, quelli che lavorano la materia, per trasformarla in opere quasi artistiche. Mancano quei "ragazzi di bottega" di cui un tempo si circondavano calzolai, ceramisti, falegnami, fabbri, e anche pittori e scultori. Da un bigliettino, tu hai scoperto un'opera di Sottsass, io sono andata a spulciare la storia della fabbrica di ceramica dei Malvica, il matrimonio tra Ettore Sottsass e Fernanda Pivano, insomma, un lavoro a due teste, che mi è piaciuto molto. E il tutto, grazie ad un regalo che hai ricevuto da Baldo! Bella storia!
RispondiEliminaDanila
Baldo è solo un soprannome che ho dato io al giovane tenore cinese.
RispondiEliminaComunque è stato un bell'incentivo, arrivato dall'Oriente.
Angie
Sono curioso di sapere in che anno è stato costruito il palazzo dove c'era la lavorazione delle maioliche
RispondiEliminaPer conoscere meglio l'impresa del Barone Malvica dovrebbe consultare il Catalogo della Mostra "Terzo fuoco a Palermo" tenuta a Palazzo Abatellis nel 1997 a cura di Luciana Arbace e Rosario Daidone (scrivente) Cordialmente R.D.
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