UNA STELLA IN MENO
Salvo Figura
Strana città la mia, dove il
quotidiano si mischia col soprannaturale, dove i miracoli scendono sulla terra
a fondersi con la spesa delle vigilie delle feste, dove i bambini vivono e
muoiono a un cenno del Creatore.
Mi sono sempre chiesto se Dio, o
il Fato, o Allah o chiunque regoli l’Universo, possa ordire un tessuto per un
sol uomo, per un bambino, per un ricco, per un diseredato, oppure i fatti
debbano accadere solamente per un caso. Come quello di lanciare una moneta in
aria e vederla cadere di taglio restando in equilibrio: un caso su… non so
quanti milioni di lanci. Eppure statistica vuole che succeda.
Domenica 31 dicembre 1989, ore
13.30’.00’’: Un luogo qualunque... e dovunque.
Il telefono nel grande studio fece
appena in tempo a produrre uno squillo, che già il Vecchio canuto aveva risposto. Stette qualche miliardesimo di
secondo ad ascoltare il suo interlocutore all’altro capo del filo, conosceva
già la richiesta, e la risposta che avrebbe dato; quindi posò la cornetta e
pigiò il tasto di un interfono: – Raffaele c’è un codice rosso in Via del
Mandorlo 20.
–Volo! – rispose Raffaele, e chiuse l’interfono.
Ore 13.30’.00’’: Via del Mandorlo
20.
Daniele, cinque anni di quelli
svegli e molto vivaci, prese la sua sediolina di plastica rossa, la portò a
ridosso del muretto del balcone al quarto piano, vi montò sopra, si sporse
oltre la ringhiera di ottone, scostò un panno steso ad asciugare al tiepido
sole di un dicembre siciliano e intravvide la sua mamma che, uscita dal
portone, a passo svelto, si avviava al supermercato di fronte per recuperare le
cipolle già comprate la mattina, e poi dimenticato di portar via. Era quasi
l’ora di pranzo e la minestra senza le cipolle sarebbe stata sciapa.
Daniele voleva solo ricordare a
mammina di portargli l’ovetto Kinder con la sorpresina.
Quel giorno festivo dell’ultimo
dell’anno il Market era aperto dalle 8.00 alle 13.30.
Ore 13.31’.00’’: Centrale
operativa dei Vigili del fuoco.
L’assordante campana del telefono
degli ‘allarmi’ suonò a distesa.
L’operatore stava finendo di
raccontare al collega in turno con lui, come avrebbe trascorso la notte di
quell’ultimo dell’anno. Si interruppe, rispose al telefono e una voce
concitata, straziante, gli diede un nome, un indirizzo e un: Volate, se potete, è proprio qui dietro a
voi, respira… ma…
Gabriele, il pompiere, non gli
diede il tempo di continuare; aveva già scritto automaticamente, via, numero e
codice colore. Chiuse il ricevitore e pigiò un tasto rosso.
Un ordinato trambusto si sparse
nella zona ambulanza. Una cicala elettronica iniziò a gracchiare, una luce
arancio abbagliante prese a lampeggiare, l’autista dell’ambulanza avviò il
motore. In automatico si aprì il cancello metallico della carraia. Tre uomini
saltarono a bordo. La sirena lacerò l’aria e i timpani di quanti si trovavano
accanto.
Ore 13.31’01’’: Rianimazione
Ospedale.
Sandro e Luca, i due anestesisti,
sbuffavano di noia, ma la giornata di lavoro ormai volgeva alla fine. L’ultimo
scambio di saluti e auguri e poi ci si sarebbe rivisti dopo il 3 o 4 di
gennaio.
Gli anni ‘80 si chiudevano tutto
sommato bene.
Il bilancio del lavoro era
positivo. Il gruppo funzionava in armonia; pochi problemi e tutti risolti.
Quella mattina era in turno solo
Sandro, ma un intervento d’urgenza, un’ernia strozzata, aveva richiesto
l’arrivo di Luca per non sguarnire la Rianimazione.
Sandro si apprestava ad aprire
l’armadietto, rivestirsi e tornare a casa. Luca sarebbe rimasto fino alle 20.00
per terminare il suo turno. Era ormai tardi per tornare a pranzare e poi
rientrare di nuovo in ospedale a finire il turno: l’ernia strozzata glielo
aveva anticipato di due ore.
L’urlo dell’ambulanza che
affrontava la rampa d’accesso al P.S. li bloccò entrambi.
– E adesso che cavolo arriva?–
sproloquiò Sandro.
–Tranquillo – intervenne Luca – È la solita crisi isterica delle
tredici e trenta o l’ennesimo vecchietto con la bronchite.
L’autista però non accennava a
staccare la sirena, segno che pretendeva l’uscita immediata dell’infermiere dal
Pronto Soccorso.
Così avvenne.
Gabriele C. si proiettò fuori
dall'edificio e spalancò il portellone posteriore dell’ambulanza ancor prima
che questa si fosse arrestata del tutto.
Chissà perché quella decisione
così avventata: in genere gli infermieri uscivano con calma, verificavano il
caso e decidevano quindi il da farsi. Gabriele sentiva invece che non c’era un
minuto da perdere.
Ore 13.34’: Rianimazione
Ospedale.
Squillò il telefono dell’interno
043.Gabriella, infermiera in turno, con il suo tono pacato di sempre rispose: –
Qui Rianimazione. – indugiò sì e no un secondo netto.
– Un’emergenza al P.S. – gridò –
È gravissimo, chiamate il dott. Sandro! – e posò il telefono. Non ci fu bisogno
di chiamarli: Sandro e Luca, insospettiti, più che allarmati dal frastuono della
sirena avevano già imboccato le scale che portavano al piano terra e infilavano
la porta dell’emergenza nello stesso istante in cui Gabriele P., l’altro
infermiere in turno in Rianimazione, chiamava il cordless 010 di Sandro per
avvertirlo dell’urgenza e mentre la barella dei pompieri con il piccolo
paziente sopra, letteralmente volava dentro la sala del P.S.
Ore 13.37’.50’’: Fermo immagine
della Sala Emergenza del P.S.
Sandro da un lato, Luca
dall’altro, Gabriele C. ai piedi, un pompiere soccorritore accanto, in mezzo a
loro la barella, e disteso, sopra a questa, Daniele: gli occhi socchiusi, un
graffio in testa, una mano sporca di asfalto, una felpa azzurra griffata e
intonsa, i pantaloni lunghi blu, immacolati, scarpette Nike un po’ consunte.
Non emetteva suoni, non parlava,
aveva il respiro veloce ma regolare. Accanto, la mamma, in lacrime, che si
scusava col marito: – Gabriele – ripeteva tra i singhiozzi – È colpa mia,
perdonami, non dovevo lasciarlo solo, era questione di cinque minuti. Temevo
più per i fornelli e per il gas… non potevo immaginare il… balcone!
Ore 13.39’.57’’
Sandro e Luca si avvicinarono al
piccolo paziente. Luca sollevò una palpebra di Daniele. La pupilla era lucida,
viva, reagiva alla luce. D’istinto il bimbo aprì da solo entrambi gli occhi,
girò di scatto la testa, fuse i suoi occhi con quelli della mamma e atteggiò un
broncio che rincuorò tutti. Era cosciente!
– Muovi le gambe, una alla volta
– gli ordinò Sandro – Stringi la mia mano, ora quest’altra, dove ti fa male?
– È volato giù dal quarto piano.
– disse in un pianto irrefrenabile la madre.
Sandro e Luca si guardarono.
Tutti ammutolirono.
– Dal quarto piano? – ripresero
quasi tutti in coro.
– E non ha un graffio? – abbozzò
Sandro. – E mentre lo diceva, istintivamente sollevò la felpa e la canottiera
del bambino.
Il torace sembrava indenne e
allora palpò e pigiò le coste, una dopo l’altra come i tasti di un pianoforte.
Daniele non si lamentava. Era la paura? Spesso i bambini piccoli, mascherano il
dolore, dopo aver fatto una monelleria, perché inconsciamente temono un
rimprovero o una punizione dai genitori. Ma per Daniele non era così. Lui non
aveva nulla, di visibile. La decima costa a sinistra era un po’ dolente ed era
attraversata da un sottile segno rosso. Una linea che andava dal fianco
sinistro e dall'alto verso il basso, dall’indietro in avanti.
Una linea obliqua appena
accennata, come una piccola frustata. Luca e Sandro dopo aver palpato l’addome
e averlo trovato non dolente e
trattabile, decisero di avviare Daniele in radiologia.
– Dal quarto piano, senza un
graffio – disse Luca – Ma dove l’avete trovato? – chiese al pompiere.
– Era disteso tra il marciapiede
e la strada, accanto a una macchina parcheggiata. Non si muoveva, – rispose
quello.
– Mah! – ribadì Luca – Sembra
impossibile, non ha un graffio, muove le gambe, le braccia, gira la testa, è
lucido... eppure sono più di dieci metri. Avrebbe dovuto... oh Dio che fortuna!
– Che miracolo! –affermò il
tecnico di radiologia che prendeva in consegna il bimbo – Cade dal quarto piano
e si sporca appena una mano.
Fu un attimo infilarlo nel tunnel
della TAC. Encefalo, torace, addome, colonna, gambe; tutto era a posto.
O meglio, l’emitorace di sinistra
mostrava una faldina d'aria appena
accennata: un pneumotorace talmente
piccolo e all’ascoltazione praticamente muto,
che non meritava nessun trattamento chirurgico.
– Nella caduta ha battuto da
qualche parte – disse Luca – Forse contro l’angolo del marciapiede.
– Ma avrebbe dovuto fracassarsi
tutte le costole, da quell’altezza, altro che faldina d’aria,– ribatté Sandro.
– Beh, questa è! – chiuse la
discussione il radiologo che visionava le lastre – Piuttosto, mi piace poco la
milza. Sulla capsula sembra ci sia una piccola linea di frattura e la milza
stessa mi pare un po’ più grossa del normale. Non c’è spandimento di sangue,
sotto, ma andrebbe tenuta sotto stretta osservazione e magari ricontrollata tra
un'ora o meno.
Luca e Sandro all’unisono
decisero di portare il piccolo Daniele in Rianimazione.
– Una caduta dal quarto piano non
avviene tutti i giorni, per fortuna, meglio allora cautelarsi, – dissero
insieme.
Ore 13.52. Ascensore del P.S.
Sandro, Luca, Gabriele C. del
P.S. e Gabriella della Rianimazione, scesa nel frattempo con lo zaino
dell’emergenza, e imbarcatasi anch'essa, aspettavano che l’ascensore li
sbarcasse al primo piano: Chirurgia- Rianimazione, insieme alla barella col suo
preziosissimo carico.
La mamma del bambino li seguiva
su per le scale.
Tutto accadde in un attimo:
improvviso, crudele, inaspettato. Sandro, alla testa di Daniele vide Luca in
allarme e d’istinto guardò il bambino: era un cencio! Labbra filiformi,
bianco-cereo, gli occhi reclinati in alto, le sclere pallide come gigli, il
respiro flebile. Fu un momento. Luca palpò le carotidi del bimbo, pulsavano
lievi ma con una frequenza altissima. Il polso radiale non si percepiva.
Daniele era in shock!
Ore 13.52’.40”
Un lampo! Sandro estrasse dallo
zaino una maschera con l’ossigeno a l’applicò al volto del bimbo mentre con
l’altra mano pigiava il pulsante rosso per bloccare l’ascensore. Quindi ripigiò
il tasto 2: Sala Operatoria. Non consultò neppure Luca, sapeva che approvava e
che al suo posto avrebbe fatto esattamente la stessa cosa. Luca, come avesse
dieci mani, tirò fuori una siringa dal nulla,così come un prestigiatore
materializza un mazzo di garofani. Individuò una vena sottile sottile al
braccio di Daniele, infisse l’ago, aspirò 3 cc. di sangue e diede la siringa a
Gabriella.
– Emocromo urgente – le ordinò –
Il risultato in Sala Operatoria.
Contemporaneamente aprì a fontana la flebo applicata al piccolo,
al P.S. e sperò che il circolo rispondesse subito. Mentre sbarcavano al piano e
Gabriella si scapicollava per le scale verso il Laboratorio, urlarono alle
strumentiste: – Non c’è un minuto da perdere, preparate per una laparatomia
urgente. Chiamate il chirurgo.
Gabriele R. l’aiuto di Chirurgia,
era ancora là, nella presala. Aveva da poco finito l’intervento di ernia
strozzata e mentre Lucia e Giovanna rassettavano, si era attardato a chiacchierare,
placido, con loro.
Ore 13.55 Si accende la grande
lampada scialitica sul letto operatorio.
Luca e Sandro si sbracciavano
veloci: mentre uno preparava i farmaci anestetici, l’altro sistemava con
velocità e precisione l’apparecchio di anestesia, i tubi e il laringoscopio.
La ferrista si lavò, infilò al
volo il camice sterile, prelevò la cassetta dell’urgenza, la aprì, apparecchiò
il tavolo servente. Gabriele, il
chirurgo, insieme alla seconda ferrista stirò il telo sterile su Daniele,
delimitò il campo, prese il bisturi, inspirò profondamente e chiese: – Posso?
Sandro disse solo: – Vai!
L’anestetico scivolava già nelle
vene di Daniele, il curaro gli bloccava i muscoli, ora dolore e coscienza non
c’erano più e ogni secondo diventava eterno. I farmaci cominciavano a tirar su
la pressione, il plasma expander faceva capire alla parte vegetativa del
cervello di Daniele che vene e arterie si riempivano poco a poco. Il cervello
di relazione, invece, era spento... o sognava... chissà!
Ore 14.00.
– Ecco la milza – annunciò
trionfante il chirurgo – Pippo, fammi luce – continuò – Tra poco è tutto
finito. Si è rotta d’improvviso la capsula e ha perso oltre un litro di sangue
nel giro di... niente. È un miracolo che sia ancora vivo.
– Un altro miracolo. – pensò Sandro.
Riprese Angelo: – È un miracolo
che ce l’abbia fatta; non avevo mai visto un’emorragia da rottura di milza così
veloce e brutale, meno male che eravamo tutti qui. Come va il ragazzo ora?–
chiese agli Anestesisti.
Luca e Sandro solo adesso
respiravano. Avevano trascorso gli ultimi dieci minuti letteralmente in apnea.
– Meglio, – risposero all’unisono
– La pressione tiene, la saturazione anche, non c’è indice di shock; se la
caverà.
Ore 14.00. Un posto qualunque.
Il Vecchio canuto fece accomodare
Gabriele.
– Voglio un resoconto dettagliato
dei fatti.
– Signore, appena m’ha dato il
codice rosso sono corso di volata in Via del Mandorlo 20. Daniele veniva giù
veloce dal balcone del quarto piano. Non sapevo come e cosa fare. Di colpo il
filo della biancheria al terzo piano frenò la sua caduta, lo colpì al fianco
sinistro, vicino alla decima costa. Ma era troppo poco, ci voleva ben altro per
fermare quei venti chili che acceleravano a quasi dieci metri al secondo.
Daniele ruotò un poco, rallentò di un’inezia e riprese a precipitare.
Era adesso al secondo piano. La
mamma, sotto, era ignara, vedeva solo il fruttivendolo che, casualmente sortito
fuori dal negozio, restava immobile, le braccia al cielo a pregare: Mio Dio salvalo!
– Sì, ho sentito qualcuno pregare... – intervenne il Canuto.
– Era già a metà del secondo
piano e solo allora la mamma capì che qualcosa di terribile stava per accadere.
Lo vide sul volto di Franco, il fruttivendolo, ma impiegò per voltarsi e
guardare in alto, lo stesso tempo che impiegava Daniele a coprire il tratto dal
secondo al primo piano. Ma lei Signore sapeva già tutto, perché non fece
qualcosa?
– L’ernia strozzata, Gabriele il
pompiere, due Anestesisti in turno la Domenica dell’ultimo dell’anno, Gabriella
l’infermiera col suo zaino dell’emergenza più pesante di lei, Gabriele P. del
P.S... ti dicono nulla? – rispose il Vecchio.
– Ma Daniele era giunto al primo
piano e non accadeva nulla, mancavano ormai meno di tre metri all’impatto e a
quella velocità avrebbe impiegato 0,3 secondi per sfracellarsi! – replicò
angosciato Gabriele.
– Hai mai visto,Gabriele, quei
vecchi film di Frank Capra? Sai quei film americani strappa lacrime in bianco e
nero ambientati durante le feste di Natale, con tanta neve intorno? O quegli
altri tipo “Miracolo di Natale” o “Un fantastico Natale”, dove i bimbi che
volano in cielo durante quelle Feste, diventano una stella in più nel
firmamento? – riprese il Vecchio canuto, stanco ormai per quell’estenuante
giornata.
– Si li conosco, Signore, è per
questo allora che all’ultimo metro di volo mi hai permesso di tramutarmi in una
Fiat Panda?
– Certo Gabriele. – proseguì il
Vecchio con un sorriso tra il compiaciuto e il sornione, come di chi sa di aver
realizzato un gran bluff a poker – Ma non in una Panda qualunque bensì in una
Panda decapottabile col tettuccio di robusta tela beige. È lì che Daniele è
piombato a centotrenta chilometri orari e anziché sfondare la tela, è
rimbalzato come gli acrobati del circo.
– Certo Signore, l’ho ben sentito
il colpo sulle mie spalle – ribadì Gabriele – Peccato che nel ricadere si sia
fatto male sul marciapiede.
– No Angelo, la milza si è rotta col filo
della biancheria; avevo previsto che avrebbe fatto danno, ecco perché avevo
provocato l’ernia strozzata, attardato il chirurgo in inutili chiacchiere con
le ferriste, bloccato due Anestesisti, lasciato la sala operatoria pronta per
l’intervento, un pompiere di nome Gabriele al telefono, un altro Gabriele al
P.S., una Gabriella in Rianimazione e... ma questo è solo un caso, un Gabriele
come marito e papà. Avevo previsto quasi
tutto. Posso sbagliare anche io no?
Ore 15.45 in corsia.
Daniele usciva dalla sala
operatoria. Ad attenderlo, la mamma con gli occhi ancora lucidi, ma un sorriso
che metteva le ali.
– Ma lo sapete – disse – Che se non era per quella Panda
parcheggiata sotto casa, col tettuccio di tela, a quest’ora Daniele…
– Che fortuna... che miracolo! – dissero tutti.
Ore... ma che importava ormai
l’ora e il posto...
– Va bene Gabriele, Angelo...
Custode, ottimo lavoro, ben fatto davvero. Avremo una stellina in meno nel
cielo di quest’anno per chiudere le feste, ma un bel bambino in più sulla Terra
per poterle contare: Daniele Spaccavento.
NOTA A MARGINE.
I fatti dell’episodio narrato si
sono svolti esattamente come raccontato. Daniele (nome fittizio) cadde dal
balcone del quarto piano di casa sua, quel giorno e a quell’ora e per la
motivazione narrata. Rimbalzò realmente su quella Panda decapottabile che gli
salvò la vita, e atterrò sull’asfalto. La cosa inspiegabile è che di quella
macchina si parlò pochissimo, un inciso, un cenno fugace della madre di Daniele
e più nulla. Non ce ne saranno poi così tante di quelle auto nella città del
racconto! Penso non più di cinque o sei e se si considera che era Domenica
mattina dell’ultimo dell’anno e la gente di questa città ha l’abitudine di
trascorrere il fine settimana nella seconda casa al mare o in campagna, specie
per Capodanno, e invece era parcheggiata là, a quell’ora….
Nessuno in realtà fece, allora né
dopo, che io sappia, delle ricerche accurate su quell’auto e sul suo
proprietario. I vari Gabriele e Gabriella sono persone reali, di cui potrei
fornire le vere generalità e si sono avvicendati nel soccorso e la cura di Daniele,
così come ho narrato. Unica eccezione è Gabriele il pompiere. Non ne conosco il
nome reale, ma non mi stupirei se si chiamasse veramente Gabriele.
Naturalmente è romanzata la
telefonata iniziale e il colloquio finale e non potrei giurare che sia andata
realmente così. Ma allo stesso modo, chi potrebbe, con certezza, giurare che
sia andata diversamente e che non
funzioni davvero così?
Nessun commento:
Posta un commento