POETANDO

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lunedì, agosto 10

L'ASTRONAVE DEGLI DEI di RENATA RUSCA ZARGAR

 



L’ASTRONAVE DEGLI DEI

 di RENATA RUSCA ZARGAR 

Prima di lanciarmi nei commenti riguardo all’interessantissimo libro dell’autrice, ho voluto dedicarmi ad una dettagliata ricerca, per meglio comprendere chi siano gli dei Mahākāla e Vetali. Conosco qualche nome buddhista, ma questi non li avevo mai sentiti. Quindi, il testo di Renata è stato per me anche l’occasione per imparare qualcosa di nuovo.

 


Mahakala o Mahākāla, è un Dharmapala ("protettore del dharma") nel Buddhismo Vajrayāna. .È la versione Buddhista di Shiva; il suo nome significa "il Grande Nero". È anche una divinità Induista (nel quale è la manifestazione di Shiva senza forma e oltre il tempo) e Sikh ( il governatore della Maya). La sua compagna o moglie Vetali è anche conosciuta come la Dea Kali.

 

Ho anche trovato un interessantissimo articolo sul blog di Isabella di Soragna) che riporto parzialmente, perché chiarisce ancor meglio la funzione degli  Dei che sono venuti sulla Terra a bordo di un’astronave.

“La versione Buddhista del Dio Indù Shiva è MAHAKALA il “Grande Nero”, uno degli 8 protettori del Dharma.

Il colore di Mahakala è il nero, poiché come tutti i colori vengono assorbiti dal nero, tutti i nomi e le forme si fondono in Mahakala, a testimoniare la sua natura assoluta.

La mannaia o Kartr simboleggia la disgregazione della materia e di tutti i legami terreni e la loro trasformazione in una forza positiva.

È raffigurato molto massiccio, con la faccia corrucciata, l’occhio frontale e la corona a 5 teschi che sono la  metafora della trasfigurazione dei cinque klesha (tormenti) nei cinque Dhyani Buddha.”

 (commento tratto da colloquio con monaci tibetani)

 

Tutti i tempi buddisti tibetani sono ornati da figure dall’aspetto corrucciato, feroce. L’effetto quasi caricaturale, come le maschere di antichi popoli, si vede ancora oggi nel cantone svizzero dell’Appenzell che conserva riti pagani e in altre comunità del mondo intero. Tuttavia il significato antico e profondo, non è di cacciar via i demoni, di proteggere o di far paura ai bambini (e adulti non informati), ma di toccare profondamente l’inconscio collettivo e il suo lato ombra ben celato nelle pieghe della psiche.

Il vero significato tuttavia risiede nell’iniziazione particolare, data da un lama (guru tibetano) che consiste nel lasciar scivolare l’immagine nella Vacuità da cui tutto proviene. Quest’ultimo punto è molto importante: si tratta di contattare le energie bloccate (da traumi o altro), di toccare la sensazione dimenticata, ma operante nel quotidiano a sua insaputa,  e trasformarla in nuova energia luminosa.

 In occidente nessuna terapia ha potuto far arrivare a una simile trasformazione, anche se C.G. Jung ha contribuito notevolmente a cambiare le cose, e, tranne naturalmente molte eccezioni, non è stato molto capito o seguito.  In questa fetta di mondo, legato più alla mente che alle sensazioni fondamentali – in realtà è solo la parte del cervello sinistro che detta legge – le stesse energie inconsce, negative, vengono  incensate, magnificate in mille modi, come segno di superiorità, s’invocano demoni, non per  trasformarne l’energia in luce, ma per controllare le paure non manifeste e profonde, i vecchi terrori – purché non vengano alla luce! – acquistando supremazia attorno a sé. In sostanza più c’è paura (separazione) più c’è bisogno di controllo e potere.  In realtà questo aumenta la divisione e la paura. Un circolo vizioso.  Il peggio avviene quando, in questo stato di cose, un individuo, convinto inconsapevolmente di dimenticare o cancellare le proprie paure, si unisce sia a un gruppo o a un guru che, pur indicandogli la via d’uscita, la non-dualità, la pura consapevolezza, la compassione universale, lo chiude in un’unità cosmica intellettuale. Questo fa credere di essere arrivati al traguardo finale, alla felicità senza confini. A volte serve da scudo, altre invece, come una nuova possibilità di controllo. È una tenda dorata messa su un cumulo di dolori inespressi che ahimè non scompaiono, ma mutano e creano ulteriori problemi.

I tibetani scherzosamente li chiamano i “pappagalli del dharma”.

Il fondo dell’abisso, dell’oscuro, del male, rimane sempre lo stesso e si cementa, poiché tutto ciò che è conservato intellettualmente, rimane come (oggetto) “altro” e “fuori” e rimane sempre un nemico sia da combattere, sia a cui inchinarsi, vantandosi  a volte di appartenere ad una élite di adoratori del diavolo (dia-ballo = che divide… nulla di più), di cui fecero parte noti filosofi.

 

Inserisco un chiarimento, riguardo a dia-ballo che l’autrice aveva erroneamente indicato come dia-ballus.

“Diversamente da quanto la religione ci ha propinato per secoli, il diavolo non è affatto un’entità malvagia contrapposta al Dio benevolo predicato da santi terreni, bensì è colui che separa, è la divisione interiore di ogni essere umano, ciò che ci priva dell’integrità, la calunnia. E infatti l’etimologia della parola deriva dal greco dia attraverso e ballo metto.

Inoltre, l’opposto del diavolo non è la divinità, bensì è il simbolo, dal grecsym-ballo, che deriva dalle radici sym (mettere insieme) e bolé (getto).

Nell’antica Grecia il simbolo era una tessera che veniva spezzata e della quale le parti erano conservate da due città, gruppi sociali od individui, come promessa di unione fraterna”.

Non a caso alcuni santi sono stati perseguitati da visioni demoniache e lo ricordano il quadro delle ‘Tentazioni di S. Antonio’ di J. Bosch con grande crudezza.  L’equilibrio psichico si ottiene con l’accoglienza viscerale dei propri istinti soppressi: non si tratta di assecondare senza riflettere le pulsioni, ma di diventare coscienti di quel che avviene dentro di sé, anche se deriva da fattori lontani. È solo quando si bloccano, anche per l’innato bisogno di protezione, di calore e di essere accettati socialmente, che la violenza e la negatività si esprimono esternamente. Il risultato sembra differente, ma in realtà non lo è. Un caso è quello di una bambina che, appena ne combinava qualcuna, per non essere sgridata diceva alla mamma:- Non sono stata io, ma il diavoletto! - Si scoprì appunto che ‘’il diavoletto” era quello che lei non poteva esprimere, data la sua educazione troppo rigida. Questo le aveva procurato negli anni, infiniti problemi relazionali senza apparente via d’uscita.

Poi si mise a recitare con convinzione e fervore le parole di Ho’oponopono, riguardo al “diavoletto”: – Grazie, mi dispiace, perdonami, ti amo -. e in questo modo poté riunire in sé il suo potenziale vero spontaneo e autentico.

Si ripetono sempre i nostri vecchi schemi. Siamo fatti di memorie e per cancellarne il fondo doloroso si tratta di integrarlo ringraziando “l’ombra’’ che ci ha permesso di vederlo.

In questo teatro magico ogni cosa è al suo posto, si tratta di osservare con assoluta chiarezza i comportamenti degli attori – che in realtà siamo solo noi – sciogliere in questo modo le identificazioni ipnotiche e alla fine, come un palloncino trattenuto da un filo, lasciarlo scappare, perché si fonda con il cielo sempre presente che lo accoglie. E sorride.

Siamo QUELLO, non ce ne siamo mai separati.”

 

Si tratta di un preambolo molto lungo, ma che ho ritenuto necessario per meglio comprendere il contenuto del racconto di Renata Rusca Zargar.

Spero non me ne voglia, se mi sono dilungata nella spiegazione del metodo buddhista, ma l’ho fatto per meglio entrare nella psicologia umana.

Da quel che l’autrice evidenzia, si apprende che gli esseri umani non sono mai riusciti, nel corso della loro Storia, a trovare la pace interiore, la benevolenza verso le creature di ogni specie: animali e vegetali, né tanto meno nei riguardi degli esseri intelligenti.

Tutto questo disamore accade a causa della sete di potere, estremo egoismo, avidità, senso di supremazia, indifferenza, e in sostanza, per tutti quei sentimenti negativi che portano alla distruzione. Le religioni ma anche personaggi illuminati e filosofi hanno cercato di insegnare agli uomini l’amore per il creato, la pace, la sintonia, la condivisione, l’accoglienza e la pietà. Mi chiedo quanto di tutto questo sia stato assimilato dalla maggior parte degli umani. Se lo chiede anche l’autrice, attraverso le figure di Mahākāla e Vetali.

Così, in questo periodo in cui il virus sta colpendo ogni parte del mondo, dove avvengono con una certa regolarità terremoti e alluvioni, eruzioni vulcaniche e quant’altro, il pensiero ci porta a credere che siano punizioni dal Cielo.

Non è così. Chi sta distruggendo questo Pianeta siamo noi stessi, con l’inquinamento dell’aria e delle acque. Con le guerre e le esplosioni, non ultimo il dramma di Beirut, causato dalla disinvoltura con cui sono immagazzinate sostanze tossiche.

In conclusione, ci sono enti, associazioni, movimenti e singole persone che fanno il possibile per difendere i diritti della Terra. Ecologisti che alzano la voce contro chi si occupa dei propri interessi, invece di quelli di tutta l’umanità. Sono quei pochi che hanno in mano l’economia mondiale e che si preoccupano solo di impinguire i propri forzieri, senza pensare che i danni che provocano si riversano anche su loro stessi e sulle generazioni future.  Che cosa possono ottenere migliaia di persone, in raffronto ai miliardi di abitanti del Pianeta che per incapacità, ignoranza o per sudditanza, tacciono. E chi manovra ogni cosa, agisce senza criterio, infischiandosi dell’enorme danno che provoca: questi sono i veri signori del Male, altro che il povero diavolo!

Direi che il libro di Renata Rusca Zargar è un grido di dolore, che porta a riflettere seriamente. Che va letto e meditato nel profondo.

Ringrazio l’autrice, per aver scritto queste pagine di autentico amore per la natura in tutte le sue forme, e in maniera favoleggiante ha dichiarato la sacrosanta verità. Ho evitato di entrare troppo nel merito, per non privare i lettori della sorprendente lettura.  

Danila Oppio

 

3 commenti:

  1. Cara Danila,
    sono rimasta molto colpita da quello che hai scritto. Non ho parole, penso che tu abbia capito perfettamente il mio dolore per questo mondo dove lascerò figli che dovranno fronteggiare continui pericoli imprevedibili. Ti ringrazio tanto del tuo sforzo di ricerca sulle divinità buddiste. Io le avevo conosciute nel Ladakh, in India, molti anni fa e non le ho mai dimenticate. Le tue parole che esprimono il pensiero religioso e i nostri fraintendimenti mi sono piaciute moltissimo. Grazie di tutto. Ovviamente, quando ho letto mi sono messa a piangere perché queste non sono le solite cose che dicono tutti. Grazie!

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  2. Cara Renata, sono io a ringraziate te per lo straordinario contenuto del tuo libro. Dice tutto quel che va detto su un'umanità che non ascolta, e se lo fa, solo per breve tempo. (Mi vengono in mente i periodi di pace dopo le guerre mondiali, la ricostruzione, poi tutto torna come prima, vite tra odio, violenze, indifferenza, soprusi e sete di potere). E le poche voci che si alzano per combattere gli errori, si affievoliscono e si perdono nell'etere. Il tuo libro è una voce potente, che fa intendere il pericolo cui stiamo andando incontro. Ho trovato anche una certa sintonia col mio libro Oneirikos, che tratta argomenti simili. La distruzione del Pianeta Terra causato da guerre nucleari. Un'anima che galleggia sulla polvere grigia, in cerca di altre esistenze analoghe alla sua...per voler raggiungere il Chi l’ha creata.

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  3. Grazie ancora. Leggerei volentieri il tuo libro ma vedo che è esaurito.

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