Don Mario Peretti è stato coadiutore a Milano, presso la Basilica di San Marco, ha battezzato due dei miei figli e ho collaborato con lui in veste di catechista dell'iniziazione cristiana. Da molti anni, don Mario vive in Argentina, e ci racconta qualcosa del nostro Papa Francesco.
DALL'ARGENTINA
di
Emanuele Braga
28/03/2013
- «Il suo non è uno stile, ma un modo di vivere la fede». Don Mario Peretti,
missionario a Buenos Aires, racconta perché Bergoglio è inclassificabile. Il
rapporto con i preti, con i movimenti. E quelle parole, ogni volta: «Prega per
me. Lo dico sul serio»
·
Nel 2008, in metropolitana.
Lo ha raccontato spesso agli amici, in questi giorni. Ma lo ripete
volentieri, perché è un episodio che fa capire molto del nuovo Papa. «Lo
avevano invitato a presentare L’attrattiva
Gesù,
di don Giussani. Aveva detto di sì, come sempre. "Ma non passatemi a
prendere in macchina: vengo a piedi". Quando è arrivato, mi fa:
"Strada facendo ho incontrato un uomo che mi ha chiesto di confessarlo. Mi
sono messo dietro un’edicola, e l’ho fatto. Vedi? Se venivi a prendermi, non
succedeva…"». Di fatti così, in questi anni, don Mario Peretti, sacerdote
milanese trapiantato in Argentina dal 1993, ne ha visti parecchi. Jorge Mario
Bergoglio è stato il suo Arcivescovo. Lo conosce bene. Dal primo incontro in
cui «saputo che ero di Cl, si diede subito da fare perché potessi insegnare da
qualche parte. Mi diceva: “Giovanni Paolo II punta molto sui movimenti. E ha
ragione. Perché sono vivi. E servono in prima linea, sulla frontiera della
Chiesa”».
Cosa hai capito di lui
in questi anni?
È un uomo di Dio. Ama Cristo e la Chiesa e agisce a partire da questo, non da
posizioni sociologiche o politiche. I giornali che hanno tentato di
classificarlo come “progressista” o “conservatore” non ce l’hanno mai fatta.
Impossibile.
I primi gesti che gli
hai visto fare da Papa te li aspettavi?
Sì. È quello che faceva qui, non è una scelta in funzione del ruolo o della
necessità di dare una svolta alla Chiesa. L’umiltà del conto pagato di persona
o la rinuncia alla croce d’oro e tutto quello che stiamo vedendo a Roma, lo
abbiamo visto di continuo a Buenos Aires. È proprio lui. Non sono solo tratti
del carattere, dello stile di vita. Hanno a che fare con il suo modo di vivere
la fede. Prendi quella richiesta ai fedeli, subito: «Pregate per me». Be’, non
c’era una volta che qualcuno andasse a trovarlo e che il dialogo non si
chiudesse con la stessa domanda: «Prega per me. Ma lo dico sul serio, perché ne
ho proprio bisogno». Ma anche il richiamo alla misericordia è una costante sua.
Così come quello alla povertà fa capire molto bene che cosa gli sta a cuore.
Perché?
Non è che Bergoglio ama la povertà: ama Cristo e non ha bisogno di nulla. È una
posizione di fede, non di pauperismo. E infatti la vive semplicemente, senza
ostentazioni, senza farne una bandiera ideologica. Per dire, non l’ho mai
sentito fare polemiche contro la “Chiesa ricca”. Per lui è una questione di
pienezza di vita. Nell’Arcivescovado aveva uno studiolo grande come quello di
un parroco, con due sedie per gli ospiti e una per lui. All’uscita delle grandi
celebrazioni, ormai lo sa tutto il mondo, lo potevi incontrare in
metropolitana. Lui ha 76 anni. A 75 aveva dato le dimissioni, come di
prammatica. Benedetto XVI le ha respinte. Ma qui si dice che Bergoglio avesse
già accennato all’idea che, finito il suo compito di Vescovo, sarebbe andato a
vivere in una casa di riposo per preti anziani…
Che rapporto aveva con
i «suoi» preti?
Disponibilità totale. E appena possibile, senza intermediari. Lo chiamavi, e se
non poteva rispondere si faceva vivo lui subito dopo. Non amava molto le
questioni burocratiche: una volta mi ha detto «meglio fare le cose e chiedere
perdono dopo, piuttosto che chiedere il permesso prima alla burocrazia e
perdere tempo…». Qui i preti non sono molti. Ce n’è uno solo per parrocchia. Ma
lui nelle Villas
miserias,
le favelas di qui, ha costituito delle parrocchie mettendo tre o quattro preti
insieme, per sostenersi. Ha puntato sulla presenza nel mondo più disagiato, più
povero. Lì sono nate storie come quella di padre Pepe, che ha dovuto andare via
per due anni perché minacciato dai narcos: Bergoglio lo ha difeso di persona.
Molta vita e niente ideologia, insomma. Qui a Buenos Aires tra i sacerdoti non
c’è polemica tra progressisti e conservatori. I preti, in generale, sono
innamorati di Cristo e missionari della fede. Punto.
Lo descrivono come uno
che ascolta tutti, ma decide in solitudine. È così, almeno per come lo conosci
tu?
Non è accentratore. Chiede. Domanda. Si confronta. Ma forse con una preferenza
per i semplici. Ascolta molto i parroci, più che gli intellettuali e i
superteologi. Pensa che si debba riconquistare la simpatia alla Chiesa
mostrando una semplicità e una paternità, più che facendo grandi discorsi.
Come è stato il suo
rapporto con Cl, lì?
Anche qui, disponibilità totale. Ogni volta che gli abbiamo chiesto qualcosa,
ci ha aiutato. È intervenuto ad almeno quattro presentazioni dei libri di don
Giussani, ha scritto la prefazione dell’edizione argentina di Perché la Chiesa. Una volta mi è
capitato di telefonargli per dire che c’era un sacerdote disposto a venire qui
in missione: la mattina dopo c’era già la sua lettera pronta per il Vescovo
della Diocesi di quel prete.
Su quali temi spingerà
di più?
La fede in Gesù. E una semplicità di vita che punti solo a quello, senza tanti
corollari. A me, per esempio, ha colpito molto il richiamo continuo al suo
ruolo di Vescovo di Roma: vuol dire molte cose, ma anche che vuole guidare la
Chiesa vivendo in un punto preciso, partendo da una presenza concreta, non
“gestendo i problemi”. E poi quell’altro richiamo, fisso: «La Chiesa è il
pastore e il popolo, insieme». Dobbiamo costruirla insieme.
Da Tracce
In questa foto il cardinale Bergoglio affiancato da don Mario Peretti (alla sua sinistra, coi capelli bianchi)
Nessun commento:
Posta un commento