Eravamo già alla
soglia dell'anno 1940, in Europa era iniziata, da almeno sei mesi, una strana
guerra ed io in quei giorni ero sui Monti della Luna, uno dei probabili fronti,
e avevo il compito di tenere sott'occhio ciò che sarebbe potuto succedere oltre
frontiera, lungo un fronte di circa cinque chilometri, per osservare se
avvenissero, e in quali densità e caratteristiche, movimenti di truppe al di là
del confine. Di solito, nulla era
avvertibile, poiché eventuali manovre sarebbero potute avvenire al coperto, in
quanto, tutto era trincerato nel fronte opposto. Accadeva a febbraio, ero addetto
al servizio informazioni (SI) e ne dovevo percorrere un tratto di circa sette
chilometri, con gli sci ai piedi.
Di mattina
partivo dalle casermette, dove alloggiavo, nei pressi del lago Tana e in
salita, fino alla base di Cima Fournier, e al lago Gignoux, o dei sette colori, che in quella stagione era bianco
come tutto il resto del territorio. Svoltando verso Nord iniziavo il mio percorso,
spesso accompagnato da due o tre militari della Guardia di Frontiera.
Dopo aver percorso un buon tratto, senza scorgere nulla di
nuovo sul lato opposto della cresta in quell'ampio letto di neve, fu possibile
notare a breve distanza la presenza di tre uomini in divisa militare e in
movimento.
Come se avessimo
fissato un appuntamento, mentre proseguivamo lungo la parte centrale del
confine all'altezza di un cippo notammo, dalla parte opposta, i loro
spostamenti verso Nord, per poi accostare sempre più verso il confine. Erano
dotati, come noi, di armi leggere e, come noi, con un tranquillo andare.
Noi eravamo
dichiaratamente non belligeranti, ma già schierati e quindi un incidente di
frontiera non sarebbe stato utile a nessuno. In certe situazioni non si sa mai
cosa possa accadere e, man mano che i due gruppi proseguivano e più ci si
avvicinava, maggiore era la sensazione che ci sarebbe potuto essere un incontro
proprio all'altezza di quel cippo, dove poi effettivamente avvenne, attraverso
un amichevole saluto da parte loro, che noi ricambiammo con altrettanta
cordialità. Sedemmo vicini, annullando così la striscia teorica di confine, ed
iniziammo a chiacchierare, con un scambio di sigarette tra Gauloises e Popolari. Come i pellerossa con il calumet della pace!
Prima volgemmo il pensiero al tempo e poi alla situazione
internazionale. La Francia era ufficialmente in stato di guerra contro la
Germania, ma ci si voleva augurare, stando così le cose, che il tutto sarebbe
potuto sfociare in un accordo pacifico e definitivo. Uno dei tre, un ragazzo molto
giovane che non riusciva a nascondere il
proprio nervosismo, sosteneva che Hitler era un filibustiere e non tutti lo
avevano capito e, aggiunse, il mondo sarebbe stato da lui catapultato in una
tragica situazione. A noi era sembrato un po' esaltato, ma i fatti dimostrarono
che aveva ragione. Non volle parlare di Léon
Blum, il coniglio che governava il suo
paese con Pierre Laval, e della sua resa verso Hitler nei precedenti convegni
internazionali.
La conversazione
finì con un augurio e una stretta di mano.
Al mio Comando non segnalai nulla, non avendo avuto la sensazione che si
trattasse di nuove truppe. La Francia si era posta in una situazione di difesa
e non di offesa.
Si era così
conclusa una giornata diversa dalle solite, quasi un incontro ravvicinato del
terzo tipo, sotto un sole che ci faceva immaginare di trascorrere settimane
bianche sulla neve.
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