I racconti del carrubo
Di Salvo Figura
C’è
un luogo, tra Rosolini e Noto, in cui il sole d’agosto cuoce la terra che
tremola ed evapora in cielo.
Mio
padre diceva che il posto era sotto la quota del mare e io, piccolo, non capivo
come l’acqua salata non lo coprisse.
Il
mare si intuiva, lontano, tra tamerici e ogliastri rachitici.
Eravamo
i nipoti di Don Natale, il Massaro ricco e
giocavamo con gli otto figli del mezzadro, ‘mpa ‘Ntuoni, che aveva a stento di che nutrirli. Ma i bambini,
d’estate, eran tutti poveri, scalzi e coi calzoni sdruciti.
– Grazzia di Ddiu
ca me li mandò tutti masculi, accussì abbadano alla campagna. – diceva ‘mpa
‘Ntuoni.
In
mezzo alla pietraia, dietro il vigneto, il nostro ombrellone era il vecchio
carrubo. Era verde, frondoso, ritorto e fresco. Sotto la chioma, nell’ora dell’occhio del sole evocavamo streghe e
spiriti dei campi. E protetti dalle fronde l’astro non ci scalfiva.
Nove
cugini, per nove balate, seduti
all’ombra, felici e assordati dal frinire sguaiato delle cicale.
Querule,
protestavano al cielo la calura del giorno.
Una
di quelle estati venne lei. Si
presentò: un refolo di vento caldo, l’aria tremula e acquosa.
–
Uhhh, la Fata Morgana, – sussurrammo stupiti a bocca aperta.
–
Siete in nove – disse – ne voglio uno.
Tirammo
a sorte e uscì Peppe, occhialuto e saggio.
–
Non adesso, – ci imbonì. – In dicembre, col sole basso e il carrubo triste.
Il
refolo corse via veloce trottolando lungo la pietraia. Tirò con sé la foglia
secca di un tralcio e sparì.
Giunsero
gli otto figli del mezzadro, tutti scalzi o coi sandali frusti. Gli raccontammo
di… una Strega e s’imbronciarono. Volevano vederla ma erano al pascolo coi
capri o a trascinare acqua con le quartare.
E
giunse dicembre e Peppe con noi.
Tornò
l’estate, finì la scuola. Uno schianto di lamiere.
Nove balate,
una era vuota: Peppe non c’era.
Due
refoli di vento caldo, l’aria tremula e acquosa e Peppe trottolava felice lungo
la pietraia, la Fata Morgana con lui.
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