Nei giardini che qualcuno sa
Di Martina Salerno e Salvo Figura
Sulle
tue ginocchia ad ascoltare le favole e alla fine ti abbracciavo il collo con le
mie braccine esili. “’U Scurpiddu miu”,
mi chiamavi e crescendo seppi che quel nome era un racconto di Verga. Sempre
magretta, esile e pallida, ero la tua coccola. Amore lo chiamo adesso e mi si
stringe il cuore quando ti vedo salutarmi dietro una finestra chiusa, la sera
andando via.
Tanti,
come te, persi dietro i loro sogni o le loro “follie”, dietro viaggi mai fatti
e valigie sempre pronte. In quei giardini nascosti.
Eri
una quercia e sei diventato un fuscello. Vorrei tenerti io adesso sulle
ginocchia e raccontarti le stesse favole, ma la signora Enza non vuole. Dice
che lei ti ama più di me. Non crederle papà, non è la badante che credi. È una
donna falsa, come tutto è falso qui dentro. Dalla suora che “ci sa fare con le
anime” all’infermiera che ti fa il bagno e ti guarda nudo. Tu, così pudico che
ti coprivi anche se era mamma a entrare in bagno. Adesso sembri un “Cristo alla
colonna”. I supplizi che devi sopportare qui, i rimproveri perché non mangi in
fretta coi quattro denti che ti son rimasti, e quelle gocce messe di nascosto
nella minestra, che ti fanno dormire sempre.
Credevo
che l’Amore bastasse per guarirti e facesse andare via quella signora, ma lei è
più forte di me. È entrata di soppiatto nel tuo cuore e nella tua mente e ti
possiede e io ne muoio di gelosia. Ha approfittato della mamma che non c’era e
ti ha fatto suo.
Così
tutte le sere vado via nascondendo le lacrime. Ti amavo da piccola, ti amo da
grande. Da figlia allora, da madre, ora. Eri tu la mia protezione ora sono io
che proteggo te dalla tempesta della vita. Ma tua non capisci, non comprendi.
Io ti amo papà, ti amo ancora e sempre; ma tu hai nella testa solo lei, la
signora Enza, quella donna con quel diminutivo così dolce e infido; lei, che
circuisce i vecchietti: la signora Demenza.
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