di non dover finire a Plainpalais.
Finché, in hotel, non sento da un ”…emerito
docente ginevrino…insomma, indigeno…”
(rassicurante, ancora, il mio aeronauta!)
che “…là sta, morrrto, un grrrande, un…perrruviana?
o meddiosangue anglais…un cerrrtooo…Borrrg.
Eppure, oui! (lo punge qualche dubbio)
Vi dico ch’è così…j’en suis certain!
In terra là…seppolto…se-pe-li-to…”
Mi dico: fra sti vivi, io che ci faccio?
Salto su un carro funebre e…m’avvio.
* * *
Ci misi un’ora - oddìo, si sa, i furgoni…-
"Ci fossi tu, Miss Bédèker," sospiro,
"forse li apprezzerei sti bei palagi..."
(Tu chi? Ah lei, è Beatriz:il mio fantasma
che, a proprio inappellabile giudizio,
svanisce e ricompare sugli spalti.
Di più, vorreste? Odia gli pseudonimi;
già mi ripudierebbe, se scoprisse
che gliene ho dato uno a sua insaputa.
Come, da Eugenio, Clizia e Dora e Mosca,
e parimenti Silvia dal suo Giacomo,
da me pretende un congruo anonimato.)
Oh il tedio, Borges caro! Anche a Ginevra,
quando si è incustoditi in mezzo al traffico,
l'ultimo viaggio sembra interminabile.
Sul posto, invece, tutta un’altra cosa.
“Che camposanto, “ penso, “è un orologio!
Perfetto omaggio alle tue simmetrie;
però, con ste lancette che s’inseguono,
ha un ticchettio che non concilia il sonno.”
E infatti non dormivi – ti ricordi?
(Aveva un paio d’occhiaie! da far spavento.)
Con ironia più accesa del consueto,
come uno spettro in armi m’accoglievi:
“Soy ciego yo, o sei tu!…che non la vedi?…
la stradannata insegna di quel bar?
Sei sordo? Non lo senti sto rimbombo
che viene da quel covo di superstiti?
Gli elevetici! Compunti, compassati,
soltanto ai funerali se la spassano.
E, ahimè, le sepolture quotidiane
qui son delizie luuunghe! E fragorose.
Stamani, poi! Dall’alba gozzovigliano.
Per chi? Vedrai…per qualche calvinista
che in vita sua non ha mai alzato il gomito.
Botti e petardi!…come a Capodanno!
O siano forse…i tappi di champagne?
Compari nei piaceri della carne,
nemici quanto ai beni dello spirito!
Da’ un’occhiatina. Va’!…non sei curioso?
E’ incline al dolo, al furto, al tradimento,
l’uomo che non ha musica in se stesso
ma gode nel frastuono, come un bruto.
T’aspetterò. Mi serve un resoconto
Su sta buvette che chiamano Aux adieux”.
* * *
Ci andai e, in un baleno, fui coinvolto.
“Entrez! Venez, monsieur! Siete strranniero?
Un verre de Veuve Cliquot? Buvez ! Corragio!” –
mi fece una gran dama, riccia e brilla,
cui pare si dovesse quel festino –
“Io…sollo vin nouveau…per riccordare
mon compagnon…un celebre écrivain!
Ogg…è l’anniversaire del suo décès.
Ah un serrrvellone d’anciclopedista…
e un raconteur che, fa venti ani e più,
scrivveva comme un fou! E poi? Un cancer.
Ma prreego…una tarrtina di foie d’oie?
Et moi? La beela giovvine Maria…”
(“Ma no! – mi dissi – è…lei! Uhm, strana volpe!
L’ultima musa sua…che fa la svizzera!
E come posa!” Intuì? Cambiò pelliccia.)
Non ero che una larva…da dipingere!
Come per Edgar Poe la sua Ligeia.
E avesse almeno chiuso coi pennelli
quel giorno che, bon Dieu, perse la vista!
Nemmeno più la tela distingueva
e, scema io, a fargli da modella!…
Comprende? Però adesso…a giochi fatti…
guardi che bendidìo! Grazie al suo argent.”
* * *
Tornai. E trasalii nel ritrovarti
seduto al fresco, a leggerti il giornale!
Parevi trasformato, eri brioso:
“Quale miglior panchina di un sepolcro
per aggiornarmi sull’eternità!…
Orbo? Oramai una lince! Ma mi limito
ai necrologi – ah, quelli! mi elettrizzano.
Cum mortuis loquor, et in lingua mortua.
Così esorcizzo il mito che le storie
dei neofantasmi passino alla storia.”
Tanto insinuavi. E, arcuando un sopracciglio,
“Allora? Com’è andata alla…kermesse?
Hai scoperto se ha torto chi asseriva
che il tempo ha uno zainetto in cui raccoglie
oboli per l’incuria degli ingrati?
No, taci! Che puoi dirmi? Imparerai
quanto spesso chi mente è in buona fede.
‘La verità…what’s that? – chiese Pilato,
celiando – e non attese una risposta.’:
Bacone. Non lo hai letto? Lo consiglio.”
Ridendo sospiravi – o viceversa?
Gli eccentrici, pensai, valli a capire!
“Mi sembri alticcio…oh oh, t’han fatto bere.
Al mondo che procede…o alla memoria?
Amico mio, chi brinda a un dipartito
già celebra l’inizio dell’oubli.”
Strizzavi l’occhio; e biascicando (un vezzo?):
“Credo ne cras…scompaia anche il ricordo!
E’ un attimo…e, se poco poco indugia,
annoia – come fa in letteratura.
Ancora? Et encore!…” – e mi additavi il bar –
“Tragedia o farsa…l’enfasi simbolica…
come un tumore, è il brufolo di troppo.
Li…senti?” (Annuii: ormai sentivo anch’io
l’enorme oscenità di quel soverchio. )
“Di giorno può cantare un usignolo,
quando le oche strillano? Parrebbe
fin meno musicale di uno scricciolo.
Solo le circostanze riconducono
le cose belle al loro giusto pregio.”
* * *
E sparve Jorge Luis! Non feci in tempo
a dirgli, oh che ne so, che non sbagliava?…
ma che c’è il pro e il contro in ogni cosa?
Defunto o redivivo, tagliò corto.
Compresi: era lo spunto del romanzo
che mai non scrisse – mai, per non tradire
l’arcano immenso della Brevità.
Roberto Vittorio Di Pietro
Rimando al link sottostante, per la lettura di un saggio su Borges, ad opera dello stesso autore