Calembour 1
Il
capitàno a gettare l’àncora tentò
Ma
essa di calare in mare si rifiutò.
A
volte son cose che càpitano.
Ancora
un’altra volta ritentò
così
finalmente la nave attraccò
perché
l’àncora finalmente ancorò
(E
cadde come corpo morto cade.
(ultimo
verso di Dante Alighieri)
da La Divina Commedia Inferno 5-7
Calembour 2
Affétto
con molto affètto
Il
salame che però non accètta
di
essere colpito con l’accétta.
Gli
lancio l’ésca e lui
molto
offeso mi impone: “èsca!”.
Allora mi darò alla pésca
E
per merenda mangerò una pèsca.
Forse
il discorso non si colléga
Ma
si divertirà il mio collèga
senza fare una piega.
calembour ‹kalãbùur› s. m.,
fr. [etimo incerto]. – Freddura fondata su un gioco di parole, risultante per
lo più dalla contrapposizione o dall’accostamento di parole omografe o
polisemiche (per es.: «un professore che, anziché fare lezioni di economia, fa
economia di lezioni»; «un cretino può scrivere un saggio, ma non viceversa») o
dalla sostituzione, in una frase nota, di una parola con altra di suono simile
ma di significato molto diverso.
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