POETANDO

In questo blog raccolgo tutti gli scritti, poetici e in prosa, disegni e dipinti di mia ideazione. Recensioni stilate da me e da altri autori. Editoriali vari. Pubblico poesie, racconti e dialoghi di vari autori.Vi si possono trovare gallerie d'arte, fotografie, e quant'altro l'estro del momento mi suggerisce di pubblicare. Sulla banda destra della home page, appaiono i miei e-book poetici ed altre sillogi di alcuni autori. Così come le riviste online de L'Approdo e de La Barba di Diogene, tutto si può sfogliare, è sufficiente cliccare sulla copertina. Aggiungo che , sempre nella barra a destra della home page ci sono mie video poesie, con sottofondo musicale. E' sufficiente cliccare sull'immagine per ascoltare testo e musica, direttamente da YouTube. Tutte realizzate dalla eclettica Anna Montella., Ci sono poi i miei libri scritti nel corso di circa 10 anni. Buona lettura e buon ascolto!

venerdì, ottobre 21

Prosopopea di Pericle alla santità di Pio VI

PROSOPOPEA DI PERICLE
ALLA SANTITÀ DI PIO VI
Io de' forti Cecropidi
nell'inclita famiglia
d'Atene un dì non ultimo
splendor e maraviglia,
a riveder io Pericle
ritorno il ciel latino,
trionfator de' barbari,
del tempo e del destino.
In grembo al suol di Catilo            
(funesta rimembranza!)
mi seppellì del Vandalo
la rabbia e l'ignoranza.
Ne ricercaro i posteri
gelosi il loco e l'orme,
e il fato incerto piansero
di mie perdute forme.
Roma di me sollecita
sen dolse, e a' figli sui
narrò l'infando eccidio
ove ravvolto io fui.
Carca d'alto rammarico
sen dolse l'infelice
del marmo freddo e ruvido                  
bell'arte animatrice;
e d'Adriano e Cassio,
sparsa le belle chiome,
fra gl'insepolti ruderi
m'andò chiamando a nome.
Ma invan; ché occulto e memore
del già sofferto scorno,
temei novella ingiuria,
ed ebbi orror del giorno.
Ed aspettai benefica
etade in cui sicuro
levar la fronte, e l'etere
fruir tranquillo e puro.
Al mio desir propizia
l'età bramata uscìo,
e tu sul sacro Tevere
la conducesti, o Pio.
Per lei già l'altre caddero
men luminose e conte,
perché di Pio non ebbero
l'augusto nome in fronte.              
Per lei di greco artefice
le belle opre felici
van del furor de' secoli
e dell'obblio vittrici.
Vedi dal suolo emergere
ancor parlanti e vive
di Periandro e Antistene
le sculte forme argive.
Da rotte glebe incognite
qua mira uscir Biante,
ed ostentar l'intrepido
disprezzator sembiante:
là sollevarsi d'Eschine
la testa ardita e balda,
che col rival Demostene
alla tenzon si scalda.
Forse restar doveami
fra tanti io sol celato,
e miglior tempo attendere
dall'ordine del Fato?
Io, che d'età sì fulgida
più ch'altri assai son degno?
io della man di Fidia
lavoro e dell'ingegno?
Qui la fedele Aspasia
consorte a me diletta,
donna del cor di Pericle,
al fianco suo m'aspetta.
Fra mille volti argolici
dimessa ella qui siede,
e par che afflitta lagnisi,
che il volto mio non vede.
Ma ben vedrallo: immemore
non son del prisco ardore:
Amor lo desta, e serbalo
dopo la tomba Amore.
Dunque a colei ritornano
i Fati ad accoppiarmi,
per cui di Samo e Carnia
ruppi l'orgoglio e l'armi?
Dunque spiranti e lucide
mi scorgerò dintorno
di tanti eroi le immagini
che furo Elleni un giorno?
Tardi nepoti e secoli,
che dopo Pio verrete,
quando lo sguardo attonito
indietro volgerete,
oh come fia che ignobile
allor vi sembri e mesta
la bella età di Pericle
al paragon di questa!
Eppur d'Atene i portici,
i templi e l'ardue mura
non mai più belli apparvero
che quando io l'ebbi in cura.
Per me nitenti e morbidi
sotto la man de' fabri
volto e vigor prendevano
i massi informi e scabri.
Ubbidiente e docile
il bronzo ricevea
i capei crespi e tremoli
di qualche ninfa o dea.
Al cenno mio le parie
montagne i fianchi apriro,
e dalle rotte viscere
le gran colonne usciro.
Si lamentaro i tessali
alpestri gioghi anch'essi
impoveriti e vedovi
di pini e di cipressi.
Il fragor dell'incudini,
de' carri il cigolio,
de' marmi offesi il gemere
per tutto allor s'udio.
Il cielo arrise: Industria
corse le vie d'Atene,
e n'ebbe Sparta invidia
dalle propinque arene.
Ma che giovò? Dimentici
della mia patria i Numi,
di Roma alfin prescelsero
gli altari ed i costumi.
Grecia fu vinta, e videsi
di Grecia la ruina
render superba e splendida
la povertà latina.
Pianser deserte e squallide
allor le spiagge achive,
e le bell'Arti corsero
del Tebro su le rive.
Qui poser franche e libere
il fuggitivo piede,
e accolte si compiacquero
della cangiata sede.
Ed or fastose obbliano
l'onta del goto orrore,
or che il gran Pio le vendica
del vilipeso onore.
Vivi, o signor. Tardissimo
al mondo il Ciel ti furi,
e coll'amor de' popoli
il viver tuo misuri.
Spirto profan, dell'Erebo
all'ombre avvezzo io sono;
ma i voti miei non temono
la luce del tuo trono.
Anche del greco Elisio
nel disprezzato regno
v'è qualche illustre spirito,
che d'adorarti è degno.

Giovanni Prati

Nessun commento:

Posta un commento