Mi sembra siano trascorsi secoli, da quando scrissi questo lungo racconto o breve romanzo, e neppure ricordavo che fosse stato ripreso in parte, su Rosebud, insieme alla prefazione di Gavino Puggioni e a un commento della titolare del sito. Avverto la necessità di ringraziare ancora una volta Rina Brundu, per aver dedicato questa pagina al mio primo romanzo che in seguito è stato rieditato col titolo: Smemoria e memoria poetica.
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SMEMORIA di
Danila Oppio
by ROSEBUD
- CRITICA, SCRITTURA, GIORNALISMO ONLINE • 30 DECEMBER 2012
E se mi perdessi dentro rossi
tramonti, e non tornassi? E se mi assopissi su dune di sabbia disegnate dal vento, unirei
forse le isole della mia anima?
E in quel mio assopimento, voltandomi, ho intravisto l’angelo
dell’amore, rimasto un po’ indietro per essere inciampato nelle sue grandi ali,
e la fatica dei giorni, l’interminabile pensiero del tempo che mai si china,
vissuto a piene mani e gettato tra i rifiuti. Così spesso si getta via l’amore,
presi dal caos dell’esistenza. Invece esistono quelle inaspettate, piccole
cose, che paiono tanto trascurabili ed esili da avvinghiarti forte il cuore,
come un tocco tenue, di mano infantile che, calda, ti preme sul viso. E così ti
ho scritto che ti amavo, sempre l’ho fatto, dall’alto di un rumoroso silenzio,
tanto che ho finito l’inchiostro e sfinito il cuore. Eh sì, come l’insetto
minuto nel canneto, con le ali intrise della porpora dei fiori, scivola verso
il greto, seguendo la voce sfiatata di un vento inconsueto, così sogno le
radenti distanze. Il mondo sfiorarlo appena, come volo di gabbiano, basso,
sulla pietraia. E voglio cinque dita forti, aperte come vele, poggiate sul
cuore; voglio un sorriso, il più esiguo, come d’antico relitto che in eterno
rimanga serenamente addormentato nel mio abisso.
La memoria non torna, ed io sono in quell’abisso! E allora continuo a
sognare un paesaggio dai lontani irraggiungibili orizzonti. Paesaggio di nessun
quadro, tempestoso, agitato, quello dell’anima, dove ogni onda mormora e grida
piano e piano si acquieta. E ritorno a sognare…Ancora sogni, come vecchi
giornali accatastati, io mendicante, intenta a frugarvi illusioni.
E continuo a scrivere, sperando che una scintilla di memoria ritorni, un
flash, un qualcosa, e tra queste righe, il mio affanno e la mia quiete alitano
come un vento lieve, tra queste parole forti, e insieme insicure tra le righe.
E qui, in questo fragile scrigno di carta, è racchiuso tutto il mio sentire. Uno
spruzzo più fresco di parole, improvviso, come il frangersi dell’onda sul molo,
un solco minuto, uno schianto di luce più chiara, sarebbe auspicabile. Invece,
le schiaccianti perplessità dell’essere, le piroette insensate sugli
strapiombi…e le fantasie: rondini senza memoria, come me, di nessuna
sfavillante primavera, e vorrei talvolta, colorarmi intensamente di nulla. Sì,
in questo indecifrabile codice della vita, che disorienta, smarrisce in
spiragli di felicità (dove li cerco?) ma da sempre ambiti e non sempre
riconoscibili.
Come intendeva l’esistenza
Spinoza? Sub specie aeternitatis. Ciò che potenzia nell’uomo
il suo essere come mente e che gli permette di cogliere l’ordine stesso della
sostanza infinita. Qui tutto è racchiuso. Con le idee, con la mente, si può
vivere una vita accettabile, libera dagli orpelli e dalle vanità corporali
contingenti cui spesso la nostra corporeità ci obbliga. La vita è sempre
possibile da vivere, specialmente se riusciamo a dimenticare noi stessi, e
farla finita con i progetti e metterci finalmente a realizzare cose concrete,
utilizzando il patrimonio della mente.
Chi affermava tutto questo? Rita Levi Montalcini, lo so perché ho
salvato in memoria del computer queste bellissime frasi, ma mi chiedo, come
posso dimenticare me stessa, se ho già scordato tutto di me? Il mio passato, la
mia vita, quasi anche il presente?
La motivazione del Nobel della
Montalcini suona così: “La scoperta del NGF (Nerve growth factor) è un
esempio affascinante di come un astuto osservatore possa estrarre un’ipotesi
valida da un apparente caos…”.
Invece il caos che ho nella mia mente non è apparente, è proprio
concreto. Comunque ritengo che questa teoria sia valida per ogni situazione
umana. La vita, se non è guidata dalla ragione, è di per sé un caos. Caos di
sentimenti, di azioni a volte in contrasto tra loro, di dolori e gioie, in un
groviglio intricato ma apparente, appunto perché con il libero arbitrio
confondi, e con la ragione del cuore, districhi.
Ed io vado a cercare uno spiraglio nel filo spinato che imprigiona i
miei giorni, e non lo trovo. Sbarramenti di ogni tipo ostacolano la mia fuga,
anche se temporanea, solo per un respiro di novità, per uscire da un movimento
sempre uguale, come l’oscillazione di un pendolo.
Faccio e rifaccio percorsi, come quel movimento pendolare, avanti
e indietro, ma solo dentro la mia mente, alla ricerca di un’identità smarrita
in meandri labirintici nei quali regolarmente mi perdo.
Chi ero? Una poetessa? Chi sono? Una scrittrice? E sto scrivendo,
infatti, per capire se, attraverso le parole che traccio, posso districare il
bandolo di questa matassa ingarbugliata che è nel mio cervello, dove ci sono
nodi che impediscono di retrocedere nel tempo, e spazi vuoti d’immensa
solitudine.
Chi non possiede ricordi, non ha compagnia, poiché anche se si è soli,
un particolare ricordo, un’esperienza vissuta riportata alla memoria, può
fungere da amico nei giorni di solitudine.
Io non ho ricordi, non riesco a ricordare.
Da SMEMORIA di Danila Oppio, agosto
2012.
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PREFAZIONE
(qui in modo di postfazione) di Gavino Puggioni
Chi scrive e desidera che venga letto, ha sempre qualcosa da comunicare
agli altri e in una qualsiasi forma, sia essa poetica o prosaica.
Danila Oppio scrive di cultura, di arte, di viaggi e di fiabe, per i
bambini e i loro genitori, di fiabe che hanno un senso da adulti, se l’adulto
vuol capire, di una umanità infinita, piene d’amore per il prossimo e per il
mondo che ci è attorno.
Scrive da sempre poesie e qualcuna di queste si leggerà in questo libro.
Ora, e c’è da augurarsi sia solo l’inizio, si è cimentata in questo
racconto lungo o romanzo breve, non saprei dire.
C’è, in tutte le righe che lo compongono, la ricerca del senso della
vita che è tema a me caro.
E questa ricerca, Danila, l’ha fatta e si è affidata a un suo alter ego,
speciale, confuso, non confuso, reale e irreale, immemore, altalenante fra un
pensiero vero ed uno, quello successivo, che ne mette in dubbio la sua stessa
essenza.
Il titolo, “Smemoria”, è il cuore di quel suo raccontare fantastico
seppure vero, come vera sembra, ormai, tutta la nostra scrittura, ospitata
virtualmente nei più svariati siti telematici e internettizati.
Penso sia la prima volta che si mette per iscritto un dialogo privato,
quasi intimo, ripreso a bella posta da internet e trasferito su carta per
essere stampato.
Sibilla e il signor G, alias Gabriele, sono i due personaggi che danno
vita al racconto, lo animano, lo rendono vero in una sequela di lettere-mail,
prima timide e poi più coraggiose. Parlano di poesia, di altri personaggi
famosi dove fanno librare i loro sentimenti in una catarsi tutta loro, intima,
seppure sconosciuta.
S’ innamorano di quella loro scrittura, la esaltano pur sapendo della
sua virtualità, virtualità che può celebrare l’abisso delle menti umane o, al
contrario, sublimarne i contenuti seppur evidentemente privati.
Si usa un linguaggio riflesso su dubbi, su ricordi evanescenti di una
memoria che tale non è più, perché violentata da avvenimenti che Sibilla ha
cancellato, riponendoli in quei cassettini che solo Gabriele riuscirà ad
aprire.
Sibilla è una creatura vera, senza memoria, appunto, ma ha confidenza
con quel diavolo del suo computer dove scrive e riscrive, dove aveva
conservato migliaia di lettere, scritture, anche di poesia, sua e di altri
amici, che lei, piano piano, ritrova, se ne meraviglia, e ne chiede verità a
quel suo amico di nome Gabriele, anche lui rimosso dalla sua mente, ma
conservato nella memoria del Mc con l’indirizzo di posta elettronica.
L’Autrice fa giocare Sibilla, la sollecita, la solletica nei suoi
sentimenti e nelle emozioni che può aver provato, la spinge a ricordare, forse,
un amore ma solo epistolare, che diventa enigmatico, non privo, però, di
qualche verità che la stessa Sibilla e il signor Gabriele si ritrovano ad
affrontare, facendo uso di alcune poesie, inviate come lettura, come emozione
in cui credere, quando, invece, le stesse erano state scritte da entrambi solo
e soltanto per amore.
Ma quale amore? E come si fa a ricordarlo quando la (s)memoria gioca a
nascondino, coprendo e scoprendo inusitate ma anche tragiche verità che
andranno ad affiancarsi a quelle loro due vite che vogliono vivere, sì, ma sono
trascinate da dubbi, da insicurezze quotidiane, e da sentimenti ancora poco
conosciuti?
Il libro, allora, diventa un condensato di emozioni che, nella realtà
quotidiana, si possono provare, a prescindere dal fatto che siano lette in
pagine elettroniche o ripetute e recitate alla presenza del bene amato.
Leggendolo, se ne possono trarre considerazioni e anche pensamenti che
occupano normalmente la mente umana e la portano ad esaminare anche molti
lati della vita nostra della quale crediamo, giustamente, di essere
protagonisti. E questo può e deve avvenire, perché se la vita va comunque
vissuta, di essa dobbiamo scandagliare tutti i punti, le anse, le aspettative
positive e negative, che devono dare a ciascuno di noi l’esatto metro di quel
che facciamo, al buio, nella luce, nei crocevia dei nostri sentimenti, nei
rapporti col prossimo, coi bambini e con gli adulti.
Alla fine, Smemoria mi ha regalato pensieri e parole che per me, poco
aduso alle mirabilie odierne, vanno tradotte, direi incastonate, in quello
scrigno aureo il cui contenuto, solo ed unico, si chiama e si chiamerà
sempre amore e… senso della vita.
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Nota
Cara Danila grazie per la tua
pazienza di ogni giorno. E grazie per il testo cartaceo di Smemoria che
mi hai fatto avere. Testo nel quale – come si evince anche dal brano pubblicato
– si mostra molto della tua anima. Che si cerca. In mezzo a momenti lirici e a
ad altri che sono sempre te. Un abbraccio. Rina.
Featured image “Poesia dell’anima –
sulla montagna” di Louis Janmot (1814–1892).
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